Giovedì 18 Aprile 2024

Basta promesse Togliere ai padri per dare ai figli

Raffaele

Marmo

Non si tratta di togliere ai padri per dare ai figli. Ma anche sì. Perché se non esistono pasti gratis (a pagarli, anche quando non sembra, c’è sempre qualcun altro), la politica, più presto che tardi, dovrà pur finirla di solidarizzare con i giovani a parole e di mantenere o rafforzare nei fatti le super-tutele per i sessantenni.

Possiamo girarci attorno come vogliamo, ma i numeri non lasciano scampo e quel che c’è dietro ancora meno. La spesa previdenziale in Italia rispetto al Pil è ampiamente superiore a quella per l’istruzione o per le politiche attive o per il più diretto sostegno al reddito dei lavoratori delle generazioni degli anni Ottanta e dei decenni successivi. Il lavoro "povero", denunciato in tutte le solenni occasioni da leader politici, sindacali, ministri, è una maledizione, ma non è arrivato con il surriscaldamento climatico. È figlio di politiche fiscali, contrattuali, regolatorie del mercato del lavoro che i governi e i sindacati hanno praticato in questi decenni. Tant’è che ancora oggi non si intravede una decisa inversione di rotta.

Certo, il Ministro Andrea Orlando si appresta a far varare dal governo una sorta di salario minimo contrattuale: va nella direzione giusta. Ma non ci si deve attendere chissà quale miglioramento della condizione di milioni di working poor.

È del tutto evidente che il destino professionale dei nostri giovani sarebbe rovesciato radicalmente se, per intenderci, si decidesse di destinare il taglio del cuneo fiscale principalmente alle fasce di età tra i 18 e i 35-40 anni. O se si stabilisse che il lavoro a tempo determinato deve essere pagato di più (con soldi in busta paga non in contributi allo Stato) di quello stabile. E, invece, il rischio è che ai sessantenni si riservi l’ennesima Quota 100 mascherata e ai trentenni con salari da fame solo qualche euro in più per ogni ora lavorata. Che servirà, beninteso, per pagare l’anticipo a debito della pensione dei padri.