Green pass badanti e colf, incubo lavoro nero. Impossibile controllare i certificati

Dal 15 ottobre famiglie obbligate a verificare le carte verdi di chi presta servizio in casa. "Boom del sommerso"

Una badante

Una badante

C’è chi prevede il caos. Chi teme una nuova ondata di lavoratori sommersi. Chi si interroga sui controlli. Ma in realtà in giro c’è già una grande preoccupazione per l’obbligo del green pass, a partire dal 15 ottobre, per badanti, colf e baby sitter. Anche perché, secondo le ultime stime, sono almeno 600mila i lavoratori domestici non vaccinati. Spesso a stretto contatto con la fetta più fragile della popolazione, a cominciare dagli anziani. La norma è contenuta nel decreto che ha esteso l’obbligo dei certificati verdi a tutti i lavoratori, sia pubblici sia privati. È vero, ovviamente, che anche in questo caso stiamo parlando di un’attività lavorativa. Ma con due problemi non trascurabili. Il primo: la casa non può essere equiparata, tout court, ad un tradizionale posto di lavoro. Il secondo: almeno il 30% delle colf (ma c’è chi azzarda addirittura il 50%) non è vaccinato per i motivi più vari.

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Con queste premesse è facile immaginare quello che potrebbe succedere dal 15 ottobre, quando scatterà l’obbligo. Poco o nulla, per chi lavora in nero. E un obbligo in più, senza alcuna tutela ulteriore per chi ha un contratto. Senza contare che non tutte le famiglie saranno in grado di gestire la situazione, arrivano fino a mettere alla porta la badante della madre anziana di punto in bianco, sospendendola dal lavoro e dallo stipendio. Partiamo dai numeri. In Italia sono circa 2 milioni le famiglie che fanno ricorso a colf, badanti e baby sitter. Secondo i dati Inps, i lavoratori che hanno un normale contratto sono circa 900mila. Di questi, almeno un terzo, circa 300mila, non è vaccinato. Ma la cifra potrebbe tranquillamente raddoppiare, arrivando a 600mila, se si considera che l’intera platea dei lavoratori domestici è di circa 2 milioni (240mila baby sitter, 740mila badanti e 1 milione di colf).

"Non si tratta di irriducibili no-vax – spiega Mauro Munari, responsabile settore lavoro domestico Uiltucs – È un esercito composto soprattutto di donne, spesso provenienti dai Paesi dell’Est. Magari hanno fatto vaccini che non sono riconosciuti dalle autorità italiane: pensare di sottoporle ad un nuovo ciclo di vaccinazione è, se non altro, discutibile". C’è, poi, il problema dei controlli e delle relative sanzioni. In che maniera si dovrà verificare se la badante è vaccinata o no? È vero che con l’app Verifica C19, che si può scaricare sul cellulare, si potrà avere in tempo reale un verdetto sull’eventuale certificato presentato dal lavoratore. Ma è difficile, soprattutto per gli anziani o per le persone non auto-sufficienti, provvedere da soli alla verifica. La questione più rilevante riguarda, poi, il grande esercito dei lavoratori al nero. In che modo le famiglie possono chiedere alla colf di esibire il green pass se non hanno neanche provveduto a siglare il relativo contratto? Con il rischio di "auto-denunciarsi"? "Se l’obiettivo era quello di evitare nuovi focolai di contagi nelle nostre famiglie, non credo che in questa situazione la norma, così come è stata scritta, possa risolvere il problema - spiega ancora l’esponente della Uiltucs – Occorrerebbe, inoltre, prevedere un’adeguata campagna di comunicazione e informazione per questa categoria di lavoratori, che in molti casi non parla ancora bene l’italiano".

Per non parlare, poi, dei controlli. Non si capisce ancora quali saranno gli organi preposti a vigilare che nelle nostre abitazioni tutti i lavoratori siano muniti di certificato. Qualcuno busserà alle nostre porte e chiedere alla colf di esibire il green pass? Molto complesso, se non altro perché ci sono precise norme costituzionali che regolano queste attività. Resta il fatto che il datore di lavoro che non vigila adeguatamente rischia sanzioni da 400 a mille euro. Mentre il dipendente che lavora senza certificato potrebbe sborsare una cifra compresa fra 600 e 1500 euro. Una stangata. Stesso discorso per l’altra strada prevista dal decreto per poter svolgere un lavoro: un tampone ogni 72 ore. Un costo che, per quanto calmierato, sarebbe tutto a carico del lavoratore domestico, con un impatto che può arrivare fino al 50% della giornata lavorativa. Un salasso.

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