Giovedì 18 Aprile 2024

Badanti, angeli tuttofare

Sabrina è stata la badante di mia madre ma soprattutto la mia. Si è presa cura di entrambe in pieno deragliamento, ha visto le cose andare in pezzi e le ha rimesse insieme. Sapevamo che il finale non sarebbe stato felice. Lei però sapeva anche che l’attesa dello schianto può essere tempo vero, pieno di dolcezza e di qualcosa che assomiglia alla speranza. Senza quella bella ragazza travestita da pornostar sarebbero state solo lacrime e confusione. È scesa dai tacchi vertiginosi, ha smesso di cercarsi negli specchi e ha ordinato alla famiglia di darsi una calmata. Avevamo bisogno di quello. Di qualcuno molto pratico e un po’ visionario che mettesse ordine nella vita e ridimensionasse la morte. La malattia terminale rende impotenti e rabbiosi. Ma Sabrina era lì con una soluzione per tutto.

Con la sua rispettosa allegria ha sparpagliato per terra montagne di medicine ricomponendo un’architettura terapeutica nitida. Ha sturato lavandini, preparato cibi per l’anima, minacciato medici disfattisti. Mamma finalmente ha avuto vicino qualcuno che come lei credeva nel paradiso. Niente di metafisico, un posto vero gremito di trapassati felici dove un giorno tutti ci saremmo ritrovati. Sabrina non metteva in competizione il qui e l’aldilà, non voleva sentire la parola condanna. Era infermiera, cuoca, sarta, chiaroveggente. Badante è troppo poco. Meglio angelo, per dirla alla sua maniera. Mi ha insegnato a piangere a secco, a stringere i vestiti che il cancro rendeva enormi e qualche parola di albanese. Ho capito che era arrivato il giorno dalla determinazione con cui lavava i pavimenti. È stata se possibile ancora più presente: in tutte le stanze, dietro a noi disperati. Ha fatto l’ultima iniezione di morfina e con la scusa di avere dimenticato il telefono è uscita. Ci ha lasciati perché conosceva il rituale per entrare in paradiso. Poi è tornata e ancora una volta il lavoro più duro è toccato a lei.