Venerdì 19 Aprile 2024

Baby criminali, la pm Simonetta Matone: "Serve il carcere per i delitti gravi"

"Lo choc dell'arresto è così forte per certi ragazzi che diventa l'unica maniera per farli smettere" Accoltellato a Napoli da baby gang, fermato un 15enne Lo sfogo della mamma della vittima: "E' ora di punire" Baby criminali, violenza in aumento. Reati a raffica nel 2017

La pm Simonetta Matone

La pm Simonetta Matone

Roma, 24 dicembre 2017 - «Dobbiamo fare i conti con un sistema di giustizia minorile che purtroppo considera il carcere quale extrema ratio. La nostra cultura giuridica nei confronti dei minorenni è tutta improntata al recupero del reo, ma, spesso e volentieri, dimentica l’aspetto retributivo della pena, cioé il fatto di pagare quanto dovuto per il danno commesso». Davanti all’escalation della criminalità tra gli under 18, Simonetta Matone, dal 2015 sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma, ‘processa’ la mentalità imperante fra i giudici chiamati ad applicare la procedura penale ai casi dei baby delinquenti.

Un po’ più di carcere non guasterebbe, insomma?

«Penso a quei minorenni, che si macchiano di reati orribili e che, invece di finire negli istituti detentivi, vengono subito messi in comunità. Dal mio punto di vista, in presenza di delitti molto, molto gravi, per esempio in situazioni come quella di quei ragazzini che a Napoli hanno ferito gravemente il 17enne Arturo, credo che l’arresto sia uno strumento necessario per la sua funzione educativa imprescindibile».

Perché dice questo, dottoressa?

«Per i giovani autori di reati così efferati è talmente forte lo choc innescato dall’arresto che diventa l’unico modo per farli smettere».

Sta di fatto che, dati alla mano, gli ingressi di minori/giovani adulti negli ex riformatori sono aumentati nel nostro Paese: erano 992 nel 2014, sono stati 1.141 un anno fa.

«È evidente che assistiamo a un preoccupante incremento della criminalità fra gli under 18 che possiamo spiegare, da un lato, con il crescere delle nuove forme di povertà e, dall’altro, col venir meno del controllo sociale e dei modelli educativi all’interno delle famiglie. Quando un minorenne finisce per consumare un reato, non possiamo mai prescindere dalla valutazione della responsabilità in capo ai suoi genitori».

Fino a 14 anni un ragazzino non è imputabile. Come deterrente potremmo considerare l’ipotesi di abbassare l’asticella anagrafica? Il Codice Zanardelli, vigente sino al 1930, puniva anche i bambini di 9 anni...

«No, non credo che sia da mettere in discussione quella che ritengo essere una conquista di civiltà. Così come non ha troppo senso pensare a un inasprimento della pena nella fascia di età compresa tra 14 e 18. Serve piuttosto una certa applicazione del diritto, evitando un uso un po’ troppo snello della libertà condizionale per quei giovani che hanno appena iniziato a scontare le loro colpe in carcere».

Il 63% dei minori condannati esce e torna a delinquere, la percentuale scende e di molto (22%) nel caso di ragazzi che, al contrario, una volta sospeso il processo, sono messi alla prova.

«Quest’ultimo istituto giuridico funziona, non posso dire diversamente. Tuttavia, data la scarsità di risorse a disposizione del sistema, viene applicato soltanto in certi casi e generalmente dopo la prima condanna. L’ideale sarebbe mettere alla prova tutti questi baby delinquenti, perché sono dei giovani senza regole, ma purtroppo non è possibile. Quello che di sicuro non va bene è questa sregolatezza consentita fin a quando non si arriva al redde rationem . Di fronte a reati gravissimi la risposta deve essere ferma».