di Claudia Marin Di sanzione in sanzione, la Russia diventa sempre più off-limits per i colossi del business. La fuga lampo dal regno di Putin è un tam tam che traduce in fatti un ordine di scuderia ormai globale. E così da Ikea a Volskwagen, fino a Generali e ai big dell’energia, si allunga la lista delle multinazionali che sloggiano alla svelta da un Paese che è ormai conclamato "paria" di collaborazioni d’affari, costi quel che costi l’abbandono di quel campo minato, fino a ieri fiorente mercato del mondo. Una uscita di massa che preoccupa oligarchi e aziende russe tanto che i vertici di Lukoil, gigante del petrolio di Mosca, vengono clamorosamente allo scoperto esprimendo solidarietà alle vittime della guerra e avvisando: "Sosteniamo una rapida fine del conflitto armato e sosteniamo". Nelle stesse ore in cui Moody’s e Fitch decretano il "livello spazzatura" per i titoli di Stato russi, inviando a Mosca il raggelante segnale di un possibile default, e perfino la mega banca cinese di Xi, l’istituto asiatico per gli investimenti nelle infrastrutture (Aiib), chiude senza indugio i rubinetti a Putin, la grande fuga dal Paese degli zar è un fatto conclamato. A tarda serata poi Standard & Poor’s fa sapere di aver tagliato ancora il rating della Russia (da BB+ a CCC-), spingendolo sempre di più in territorio “Junk“. Dall’Italia, mentre Sace lancia un allarme sul "rischio di credito delle controparti pubbliche e private" di Mosca e teme "espropri come ritorsione" dopo le sanzioni, le banche riflettono sul da farsi: Intesa Sanpaolo, con le sue 28 filiali ed oltre 900 dipendenti in Russia, spiega che la sua presenza "è oggetto di valutazioni strategiche", e analoga è la posizione di Unicredit. Rompe gli indugi Generali che ha deciso di lasciare i tre posti nel board di Ingosstrakh, la compagnia russa ...
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