Nessuna questione ‘culturale’: "Il fatto non sussiste", assolto l’imputato. Si è concluso così, con una piena assoluzione, il chiacchierato processo a carico del marito originario del Bangladesh finito alla sbarra per presunti maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti dell’ex moglie. Il caso aveva suscitato non poche polemiche, perché il pm, Antonio Bassolino, aveva chiesto l’assoluzione ritenendo le accuse infondate, "difettando l’abitualità delle condotte", ma poi aveva inserito a corollario della requisitoria un ragionamento che aveva fatto saltare molti sulla sedia: anche qualora le stesse risultassero provate, sintetizzava la conclusione scritta, "i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della donna… sono il frutto dell’impianto culturale, e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge".
Il reato, insomma, risultava carente del dolo soggettivo. Parole da cui aveva preso le distanze anche il procuratore Francesco Prete: "La Procura di Brescia ripudia qualunque forma di relativismo giuridico", si era affrettato a precisare Prete rispondendo a chi invocava l’opportunità di ispezioni ministeriali.
La protagonista di questa storia è una 26enne originaria del Bangladesh, in Italia da quando aveva 4 anni, mamma di due bambine. Dopo sei anni di presunte vessazioni, botte e insulti, la giovane aveva denunciato l’uomo che era stata costretta a sposare. Un cugino a cui fu venduta dalla madre per 5mila euro, e che a suo dire l’avrebbe chiusa in casa, obbligata al sesso e a vestire abiti tradizionali. Un altro pm in precedenza voleva archiviare il procedimento, ma il gip aveva disposto un’imputazione coatta. Ieri Bassolino in aula ha cambiato la formula della richiesta assolutoria da "perché il fatto non costituisce reato" a "perché il fatto non sussiste". Per l’avvocato di parte civile Chiara Guerrisi è "inaccettabile parlare di consenso della vittima e di scriminanti culturali, contrarie alla nostra Costituzione. Questa donna dopo essere stata abusata da piccola per anni è stata ricattata dall’imputato, obbligata a sposarlo, a subire insulti e botte, privata della libertà di autodeterminarsi. E lei per tutelare le figlie, senza possibilità economiche alternative, ha subìto". Al contrario per il difensore, Gabriella Pezzotta, il suo assistito è innocente: "La parte offesa ha dato 4 versioni diverse, non ha mai parlato di violenze né agli assistenti sociali né agli amici, andava alle feste e aveva un cellulare". E i giudici – presidente Maria Chiara Minazzato – lo hanno assolto. Motivazioni entro 90 giorni.