Famiglie abbandonate dallo Stato, in 9 milioni assistono un parente invalido

Sempre più non autosufficienti contano solo sull'aiuto di famiglie stremate: "Anche 18 ore al giorno per assisterli". L'Istat: in Italia l'aspettativa di vita più alta della Ue

Un disabile in carrozzina sale su un pulmino

Un disabile in carrozzina sale su un pulmino

Bologna, 27 settembre 2017 - In Italia almeno nove milioni di persone si prendono cura, in casa, gratuitamente, dei propri familiari malati, affetti da disabilità dalla nascita o bisognosi di cure a seguito di ictus, demenza senile o incidenti stradali. Più di tre milioni, sono quelli che vivono con parenti completamente non autosufficienti, anche se il numero – desunto da un rapporto Istat del 2010 – è sicuramente sottostimato. Un esercito silenzioso – che oggi prende il nome di caregiver, ovvero, in inglese, coloro che prestano cura – presente praticamente in ogni famiglia che oggi chiede di uscire dall’ombra. E soprattutto chiede allo Stato che qualcuno si prenda cura anche di loro. Fra Camera e Senato ci sono tre proposte di legge in attesa di essere trasformate in una vera normativa nazionale che riconosca alle persone che curano i familiari una serie di diritti e soprattutto forme di sostegno economico, psicologico e in ambito lavorativo.

L’Emilia Romagna ha anticipato tutti con una legge regionale, ma a livello nazionale è improbabile che l’iter di riconoscimento dei caregiver abbia un esito positivo prima dello scioglimento delle Camere. Il problema tocca milioni di italiani, ma a livello politico finora non è stato percepito con la giusta urgenza, tranne ovviamente alcuni parlamentari più sensibili di altri. Eppure l’impatto dell’assistenza a domicilio di un parente convivente è pesantissimo sulle famiglie e soprattutto sulla persona all’interno del nucleo che più di tutti se ne occupa, sacrificando al familiare la propria vita.

Un’indagine svolta alcuni mesi fa dalla cooperativa modenese «Anziani e non solo» evidenzia come la maggior parte dei caregiver siano donne (il 30% sotto i 55 anni), si occupi dell’assistenza da oltre 5 anni e metta a rischio la propria salute soccombendo sotto il peso dell’impegno. Il 100% delle persone intervistate infatti dichiara di soffrire di insonnia, crisi di pianto, accessi di collera e stanchezza. Il premio Nobel per la Medicina 2009 Elizabeth Blackburn stima che l’aspettativa di vita di chi si occupa a tempo pieno di un proprio parente malato possa ridursi dai 9 ai 17 anni. Stress, calo delle difese immunitarie provocate dalla stanchezza e dalla tensione, depressione, solitudine, inappetenza, stanchezza cronica: un mix micidiale che diventa a sua volta una patologia invalidante.

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A livello nazionale, la società Jointly di Milano, che offre servizi di welfare aziendali legati proprio alla presenza di caregiver, ha raccolto dati drammatici sul fenomeno. «Il 25% delle famiglie caregiver ha rinunciato al lavoro per poter assistere il familiare – spiega la presidente di Jointly, Anna Zattoni – perché l’assistenza impegna anche 18 ore al giorno». Il risultato è ovviamente un costo personale insopportabile per chi deve rinunciare al lavoro o ridurre il proprio stipendio perché deve passare al part time o cambiare impiego. Ma è un costo insostenibile anche per le aziende stesse. «Ci siamo accorti – spiega Anna Zattoni – che in alcune aziende il numero di giorni di permesso chiesti per seguire genitori anziani supera quelli per la maternità. Il fenomeno è crescente e investe soprattutto le grandi aziende strutturate, che hanno dipendenti avanti con l’età. Occuparci dei figli ci sembra naturale, ma molti si trovano all’improvviso a gestire genitori anziani malati o divenuti disabili e non sono preparati. Magari vivono e lavorano a Milano ma hanno i genitori lontani. Le prospettive e le esigenze sul lavoro cambiano così improvvisamente».

Anche perché l’innalzamento dell’età pensionabile legato e l’aumento delle aspettative di vita produce un’equazione devastante. I figli devono restare al lavoro ben oltre i 60 anni, e si trovano con genitori invecchiati nel migliore dei casi, che hanno bisogno di cure. Così si produce spesso un cortocircuito sul lavoro. «Le aspettative di vita per chi è malato di Alzheimer sono passate da 3-4 anni a 10 anni e più», dice Loredana Ligabue, segretario dell’associazione Carer che riunisce le associazioni che si occupano di assistenza di familiari malati in Emilia–Romagna. «E questo vale per tante altre patologie. Inoltre l’Italia è il paese con più anziani d’Europa - prosegue Ligabue -. L’invecchiamento e il prolungamento della vita delle persone non autosufficienti, ma anche le disabilità che toccano anche molti giovani, richiedono un riassetto del welfare. Che si basa sul riconoscimento del lavoro di cura familiare».

Le proposte di legge prevedono, oltre al riconoscimento della figura di caregiver, sostegni economico, aiuti psicologici, formazione, possibilità di estendere il telelavoro, opportunità per rientrare nella professione o in azienda in caso di lunga assenza o dopo una sospensione necessaria per aiutare il familiare. Un pacchetto di welfare, insomma, legato ad una realtà che non si può più fingere di non vedere. «Spesso occorre che i caregiver abbiano la consapevolezza del loro ruolo – spiega Ligabue – perché molte persone pensano di doverlo fare per senso del dovere, o per affetto. È una spinta importante, ma è altrettanto importante che chi si prende cura non venga annullato. Oggi poi cresce il numero di giovani caregiver. Sono le nuove emergenze sociali, adolescenti che finita la scuola tornano a casa a prendersi cura di un genitore con dipendenze, di fratelli con handicap o nonni malati di Alzheimer».

1. continua