Giovedì 18 Aprile 2024

Ndrangheta a Roma: 43 arresti. Due boss a capo della 'ndrina locale

L'inchiesta della Dia denominata 'Propaggine'. Le intercettazioni: "Siamo una propaggine di là sotto. Noi una carovana per fare la guerra". Nel filone reggino gli arresti sono 34. In manette i vertici della cosca Alvaro e il sindaco di Cosoleto

Il procuratore Michele Prestipino (Ansa)

Il procuratore Michele Prestipino (Ansa)

Nel filone reggino dell'inchiesta le persone raggiunte dall'ordinanza di custodia cautelare sono 34: 29 sono finite in carcere e 5 ai domiciliari. In manette sono finiti i presunti esponenti di vertice della cosca Alvaro di Sinopoli: Carmelo Alvaro, detto 'Bin Laden', Carmine Alvaro, detto 'u cuvertuni', ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto 'ciccio testazza', Antonio Alvaro detto 'u massaru', Nicola Alvaro detto 'u beccausu' e Domenico Carzo detto 'scarpacotta'. Arrestato anche Antonino Giofrè, sindaco di Cosoleto, Comune del Reggino. Gioffré è accusato di scambio elettorale politico-mafioso.

Le intercettazioni

"Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto". È quanto affermano in una intercettazione i soggetti indagati nell'inchiesta 'Propaggine'. "Siamo una carovana per fare la guerra" dice così nelle intercettazioni il boss Vincenzo Alvaro, ritenuto dagli inquirenti uno dei due capi della 'ndrina operante a Roma.

Le accuse

Alcuni sono accusati di far parte di una 'ndrina locale denominata cosca Alvaro-Penna, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. Gli altri reati contestati dai pm sono l'associazione mafiosa, il favoreggiamento commesso al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate.

L'organizzazione, secondo quanto riferito dagli inquirenti, faceva sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività. Le indagini hanno fatto emergere inoltre che la stessa organizzazione si proponeva anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l'incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe.

La nascita della locale a Roma

Le risultanze investigative hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una locale a Roma. Nell'estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto l'autorizzazione dai massimi vertici della 'ndrangheta calabrese per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di 'ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d'origine. Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell'attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. I due capi del locale romano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali.