
Per l’animatore accusato di pedofilia e ai domiciliari da martedì scorso, si sono aperte le porte del carcere di Ancona. Decisione attesa dopo che Gabriele Priori, 33 anni, davanti al gip di Perugia, durante l’interrogatorio di garanzia, ha ammesso di essere evaso dai domiciliari stessi per "un bisogno incontenibile di uscire", e di "non poter sopportare di stare rinchiuso in casa". Quando i carabinieri sono andati a prelevarlo nella sua casa di Jesi, per portarlo in prigione, ha perfino tentato di accecare uno dei militari spruzzandogli in volto uno spray al peperoncino. Un arresto assai movimentato. "Non capisce cosa abbia fatto di male, vive in un mondo suo – ha spiegato il legale che da anni lo assiste, Stefano Migliorelli –. Vive l’allontanamento dai bambini come un’ingiustizia, pensa che quello sia il suo lavoro. Speriamo che possa essere curato".
Perché Priori è già recidivo, da tre anni aveva l’obbligo di stare alla larga dalle scuole, eppure ad agosto era riuscito a farsi assumere con un contratto stagionale da animatore turistico in un campeggio sul Lago Trasimeno, in provincia di Perugia. Ai gestori ha nascosto i propri guai giudiziari per poi compiere, secondo quanto ricostruito e ipotizzato dalla Procura guidata da Raffaele Cantone, atti sessuali su una bambina di sei anni ospite della struttura con il papà e il fratellino nel pomeriggio di Ferragosto. Due famiglie segnate per sempre dalle pulsioni devastanti di un adulto "con la mente di un bambino". Lo si capisce dalle parole del padre del giovane pedofilo, un ex carabiniere cui per due volte è toccato di denunciare il proprio figlio: la prima quando ha scoperto che cercava di farsi assegnare nuove supplenze nelle scuole dopo che si era già macchiato del primo episodio di violenza ai danni di una sua piccola allieva ad Ancona nel 2020; la seconda quando pochi giorni fa è evaso dagli arresti domiciliari e così lo ha fatto finire in carcere.
"Siamo una famiglia colpita da una sventura", le parole del padre, ex militare, "pensavamo di aver sbagliato qualcosa, ci sentivamo in colpa come genitori perché nostro figlio a 14 anni mostrava attenzioni anomale verso i bambini piccoli e quando il Tribunale ci ha tolto la potestà non abbiamo reagito. Non eravamo più in grado di aiutarlo, serviva un aiuto specialistico che nel nostro paese non c’era. Bisogna evitare che persone con questo tipo di devianze non ricevano le cure e la giustizia da sola non basta perché una volta scontata la pena tornano liberi ma non è risolto il problema che hanno".