Appesi a un filo Fiducia, il primo scoglio al Senato Un solo spiraglio o sarà game over

Tra il premier e i partiti il gioco del cerino: Draghi attende segnali da ognuno di loro, che però svicolano. Dopo il discorso ci sarà il voto. Si inizia a palazzo Madama, dove i grillini barricaderi sono più forti

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di Antonella Coppari

È una specie di gioco a rimpiattino. I politici aspettano la mossa di Draghi, a Palazzo Chigi, invece, ripetono che la scelta è nelle mani dei leader e dei partiti. Che però invece di scegliere si dividono, pesano col bilancino costi e vantaggi dell’eventuale crisi, si spiano a vicenda per non restare col cerino in mano. Si capisce perché vista da Algeri, dove è volato per rilanciare una partnership strategica sul gas, la giornata di ieri non abbia diminuito le perplessità di Draghi: di passi avanti "sostanziali" non ce ne sono stati, nota chi ha parlato con lui. E la confusione alimenta il rischio di scivolare verso le urne. Ci sono in realtà anche segnali positivi: il primo è che il dibattito parlamentare sarà ufficialmente concluso dal voto. Quelle del premier saranno comunicazioni, alle quali seguiranno pronunciamenti e risoluzioni; si parte forte, dal Senato, dove i grillini esprimono l’ala dura. Il tentativo del ’governista’ Davide Crippa (e del Pd) di farlo partire dalla Camera per agevolarne la strada è è fallito.

La possibilità di un esito positivo c’è: dipenderà molto dalla discussione in Parlamento. L’alto rappresentante della UE, Joseph Borrell, arriva quasi a fare spoileraggio : "Mosca festeggia l’addio di Draghi? Non si vende la pelle dell’orso prima di averlo ucciso". Non sono parole dal sen fuggite, nei giorni scorsi l’ex presidente della Bce ha parlato con moltissimi rappresentanti di stati europei e a tutti ha ripetuto che si può evitare la crisi c’è, anche se dipende dai partiti. Indicativo è anche il pessimismo che si è diffuso ai vertici di Fd’I: "Non si voterà neanche questa volta profetizza", in privato Fabio Rampelli.

Da un lato gli spiragli, dall’altro la palude. M5s ha deciso di non decidere: "Tutto dipende da Draghi", avverte Conte che aspetta un segnale sul salario minimo. Se dovesse arrivare, i grillini potrebbero confermare non solo la fiducia dall’esterno ma anche la presenza nell’esecutivo. È l’obiettivo a cui mira Enrico Letta che mette in campo un argomento pesante: giovedì la Ue dovrà decidere sullo scudo antispread di cui l’Italia ha bisogno come il pane. Ci sarà e non sarà gratuito, e se il paese si trovasse senza governo e la garanzia di Draghi, le condizioni diventerebbero molto più dure. "Se in Parlamento non siamo noi a tirarci su da soli, sarà più difficile chiedere agli altri di salvarci", twitta il segretario Pd Enrico Letta rivolto a tutti, ma a Conte più che agli altri.

Se questa fosse la scelta dei pentastellati, scatterebbe il veto della "destra di governo". Se la risposta di Draghi non sarà invece considerata sufficiente, Conte e i suoi passeranno all’appoggio esterno. Scelta che potrebbe facilitare la situazione: un nuovo gruppo di parlamentari, 15-20 alla Camera (ma nessun senatore) permetterebbe cosi di dire che si parla solo di frammenti di un Movimento che non esiste più. Per quanto riguarda il governo, Federico D’Incà, mollando Conte, resterebbe al suo posto. L’ipotesi più gettonata è che il premier prenda l’interim del ministero dell’Agricoltura di Patuanelli, mentre le deleghe della Dadone andrebbero al ministro Bianchi.

Per la destra, questo schema sarebbe più appetibile: di M5s non si può più parlare. Ieri Berlusconi ha riunito il vertice azzurro, di dubbi ce ne sono anche perché i sondaggi della Ghisleri al Senato sono meno brillanti del previsto ma la conclusione non si scosta da quanto annunciato alla vigilia da Tajani: "O governo senza Conte o si torna alle urne". Salvini, che ieri ha incontrato i gruppi, è sempre più tentato dall’opzione elettorale, ma senza l’alibi della presenza pentastellaa difficilmente potrebbe arrivare alle estreme conseguenze. Molto, forse tutto, dipenderà dall’intervento di Draghi. Sarà lui che indirizzerà il dibattito: molti ipotizzano una posizione rigida verso i grillini e in effetti una soluzione ambigua è quanto di più lontano ci sia dagli obiettivi del premier, che però dovrà decidere se arrivare a un chiarimento sostanziale anche con la destra. Probabilmente con Salvini si mostrerà meno chiuso, ma è possibile che reclami chiarezza su alcuni punti in sospeso che, se non risolti, farebbero ripartire la giostra tra qualche settimana: argomenti come la delega fiscale con la riforma del catasto al suo interno o l’autonomia differenziata.

Insomma, alla vigilia dell’ora x tutto è in ballo, e niente assicura che si avrà una risposta chiara prima del voto, sempre che al voto si arrivi. Perché se dalla discussione generale non emergeranno elementi davvero rassicuranti, il premier potrebbe interrompere il dibattito in anticipo per salire al Colle e rendere irrevocabili le sue dimissioni.