
Filippo Turetta e Giulia Cecchettin
Venezia, 21 maggio 2025 – La procura di Venezia chiede alla Corte di Appello di riconoscere le aggravanti a Filippo Turetta, il 23enne padovano condannato all'ergastolo senza i reati di crudeltà e lo stalking verso l'ex fidanzata Giulia Cecchettin, uccisa l'11 novembre del 2023 con 75 coltellate.
Aggravanti circostanziate che erano state chieste dall’accusa durante processo per il femminicidio, ma che i giudici della Corte d'Assise hanno deciso di non imputare a Turetta. Il ricorso in appello è stato presentato dal pm Andrea Petroni.
“Ci rincuora il fatto he la Procura abbia impugnato la sentenza – ha commentato l'avvocato Stefano Tigani, difensore di Gino Cecchettin – perché conferma che la richiesta di impugnazione del nostro collegio difensivo in difesa della famiglia Cecchettin era fondata”.
Le ragioni del ricorso in appello
Pur avendo visto accolta la sua richiesta di pena, l'accusa vuole che vengano riconosciute a Turetta le aggravanti dello stalking e della crudeltà non ritenute sussistenti dalla Corte d'Assise in primo grado. "La condanna all'ergastolo di Filippo Turetta non è stata abbastanza per ciò che ha fatto all'ex fidanzata”, secondo la Procura di Venezia che oggi ha deciso di fare appello contro la sentenza della Corte d'Assise che il 3 dicembre 2024 non aveva riconosciuto le aggravanti al 23enne di Torreglia.
Prima di tutto la crudeltà nei confronti di Giulia, colpita con 75 coltellate, poi gli atti persecutori: il controllo ossessivo di Filippo sulla ragazza, e la marea di messaggi, circa 300 al giorno, che inviava alla giovane. Oltre 225mila le interazioni registrate sul suo cellulare.
Così, nel ricorso depositato in appello, il pm che ha condotto le indagini Andrea Petroni chiede alla Corte di Venezia di riconoscere al condannato anche queste due aggravanti, crudeltà e stalking appunto, la cui mancanza aveva sollevato un mare di polemiche dopo la sentenza.
Le motivazioni dei giudici: “Non crudeltà, ma inesperienza”
Nelle 145 pagine di motivazioni depositate l'8 aprile scorso, la corte d'Assiste aveva cercato di spiegare le sue scelte: le 75 coltellate inferte a Giulia, nell'arco di 20 minuti, scrissero i giudici, non rientravano nella categoria della “crudeltà” ma nella “inesperienza” del giovane assassino. Non potevano insomma essere lette come “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma una “conseguenza della inesperienza e della inabilità” di Turetta.
Una interpretazione che traeva spunto da una sentenza della Cassazione del 2015, laddove si affermava che nell'azione omicidiaria "la mera reiterazione dei colpi inferti, non può determinare la sussistenza dell'aggravante....se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all'evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa".
Perché non è stato riconosciuto lo stalking
Allo stesso modo, lo stalking non era stato riconosciuto dai giudici veneziani perché "l'aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta'". Ma forse era pesato anche il fatto che lo stesso papà di Giulia, Gino Cecchettin, dopo la scomparsa della figlia e prima di conoscere la sua sorte, aveva riferito di "non aver percepito alcun disagio in Giulia".
Contro quelle motivazioni era stata durissima Elena Cecchettin, la sorella della ragazza uccisa. “Una sentenza simile, con motivazioni simili in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un terribile precedente”, aveva scritto sui social.
Cecchettin: “L’impugnazione ci rincuora”
A sollecitare l'impugnazione del giudizio di primo grado su questi punti sono stati anche i legali dei familiari della vittima. I termini per presentare appello scadranno il 27 maggio, data entro la quale anche il difensore dell'imputato, l'avvocato Giovanni Caruso, potrebbe depositare l'atto di appello. “Ci rincuora il fatto che la Procura abbia impugnato la sentenza – ha commentato l'avvocato Stefano Tigani, difensore di Gino Cecchettin – perché conferma che la richiesta di impugnazione del nostro collegio difensivo a tutela della famiglia Cecchettin era fondata”.