Antognoni, io come Chris Eriksen: "Il blackout, poi la luce"

Nel 1981, il campione viola rimase a terra dopo uno scontro con un avversario "Intervennero subito e mi spostarono la lingua: per questo sono ancora vivo"

Il drammatico malore di Antognoni

Il drammatico malore di Antognoni

Novembre 1981, Fiorentina-Genoa. Azione d’attacco dei viola, Giancarlo Antognoni cerca la palla di testa ma trova il ginocchio del portiere rossoblù, Martina. L’impatto è violento. Devastante. Antognoni crolla. Senza fiato, senza respirare. Il cuore che non batte più.

"E quando ho visto Eriksen andare a terra in quel modo – ammette l’attuale dirigente della Fiorentina –, senza un cenno di dolore, senza che si capisse quanto stava male. Sì, ho avuto paura e ho ripensato. Ripensato a quello che mi è accaduto ormai 40 anni fa".

Il cuore che si ferma, il mondo del pallone che trema, il terrore di chi è lì accanto a te e può solo piangere...

"Ma quando ho visto quella foto in cui Eriksen è apparso cosciente, ho capito che in qualche modo il giocatore della Danimarca ce l’avrebbe fatta. Ho ricordato quello che mi è stato detto e spiegato mille volte, dopo quanto mi era accaduto contro il Genoa".

Che cosa?

"La mia salvezza fu che, nonostante l’interruzione del battito cardiaco, non persi conoscenza. La botta alla tempia fermò il cuore, ma la velocità di chi mi soccorse, proprio come è stato per Eriksen, impedì la conseguenza peggiore...".

Ovvero che si ’spegnesse’ il cervello?

"Credo di sì. Anche se per la verità io dell’episodio non ricordo niente. Anzi, quello che mi era successo, la dinamica dell’incidente, l’ho visto in tv, giorni dopo".

E senza l’aiuto delle immagini...

"Niente. Ricordo la botta poi il buio. Dieci minuti di buio. Ho riaperto gli occhi quando ero già steso nello spogliatoio. È lì che mi si è riaccesa la luce. Vidi e riconobbi subito mia moglie. Stavo male ma ero lucido. Ero salvo".

Salvato da chi, ovvero il medico del Genoa, Pierluigi Gatto, e il massaggiatore della Fiorentina, Ennio Raveggi, appena la videro ’morto’ in campo, seppero che cosa fare, vero?

"La lingua, furono bravissimi e velocissimi a evitare che la lingua mi potesse soffocare. Ricordo ancora oggi che quando mi sono risvegliato, proprio la lingua mi faceva un male terribile. La sentivo come se l’avessero strappata, tirata via, di forza, per evitare il peggio".

Proprio come ha fatto Kjaer andando sul corpo inerme di Eriksen...

"Sì, è stato decisivo. Ha saputo essere lucido in quel momento drammatico, ha saputo che fare subito, mentre arrivava lo staff medico. E poi Kjaer ha dato forza alla moglie di Christian, ha guidato i compagni: grande, davvero grande".

Antognoni, oggi in campo ci sono defibrillatori e macchinari da sala operatoria. Quando rischiò lei la vita, tutto questo sembrava fantascienza...

"Eh già. Sono passati 40 anni e, per fortuna, la medicina e la sicurezza del mondo dello sport hanno fatto passi da gigante".

Un suo messaggio personale a Eriksen?

"Gli dico di stare tranquillo: il peggio è già passato. L’altra sera mi aveva fatto avere bruttissimi pensieri che, per fortuna, sono svaniti nel nulla".

Giusto pensare che rivedremo Eriksen in campo?

"Io ce l’ho fatta, ma siamo stati vittime di due incidenti molto diversi. Io di uno scontro violento, lui invece è crollato a terra perché al cuore è successo qualcosa".

Oggi Eriksen è un uomo fortunato, è d’accordo?

"Assolutamente. E voglio dirgli anche un’altra cosa. Adesso pensi alla sua salute, all’uomo Eriksen prima ancora che al calciatore. Al bravo calciatore che egli è. In momenti come questi credo ci sia prima la persona e poi l’atleta. Avanti, Christian".