Mercoledì 24 Aprile 2024

Mottarone, un superstite della strage di Champoluc: "Avevo 9 anni, conosco quegli incubi"

Stefano Borlini unico superstite in un incidente analogo a Champoluc nel 1983: "Se Eitan vuole parlarmi, ci sono"

La tragedia di Champoluc in Valle d’Aosta

La tragedia di Champoluc in Valle d’Aosta

"Mi spiace tantissimo per quel bambino coinvolto nella tragedia del Mottarone. Mi sembra di vedere una fotocopia di quello che è successo a me quando avevo nove anni. Prego che quel piccolo si possa riprendere e che sia dimesso dall’ospedale il prima possibile. Quello che gli è capitato è una situazione brutta, pesante, che ci si porta dietro per tutta la vita. Io lo so bene. Se un giorno quel bimbo cresciuto volesse parlare con qualcuno che conosce bene il suo dolore, sarò sempre disponibile ad ascoltarlo".

A parlare è Stefano Borlini, 47 anni di Milano, l’unico sopravvissuto di un’altra sciagura avvenuta sugli impianti da fune quasi 40 anni fa: oggi si rispecchia nella tragedia del piccolo di 5 anni precipitato dalla funivia del Mottarone e ricoverato in prognosi riservata all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino rimasto orfano. Stefano il 13 febbraio del 1983 era un bimbo di nove anni a bordo di una delle tre cabine dell’impianto di risalita del Crest, nel comprensorio sciistico di Champoluc, in Valle d’Aosta, che si schiantarono a terra da un’altezza di 20 metri. Fu un improvviso strappo dell’impianto della telecabina – che era appena stato riavviato – a provocare uno scossone sui cavi e le tre cabine scivolarono prima contro il pilone e poi precipitarono al suolo. In dieci morirono sul colpo: tra loro c’era anche Mario Giuseppe Borlini, di professione tornitore, il padre di Stefano. L’undicesima vittima fu una ragazza di 20 anni che spirò in ospedale a Novara qualche giorno dopo. Stefano venne ricoverato in condizioni gravi, riportando traumi e fratture per la caduta del suo "ovetto". Dopo i primi soccorsi, fu trasferito anche lui all’ospedale di Novara e ricoverato nel reparto di rianimazione.

Oggi Stefano vive a Milano dove è uno stimato account manager di un’importante gruppo straniero. Nel tempo libero va in montagna a sciare, non ha paura delle funivie. Champoluc però è la sua "maledizione": non ci ha mai più messo piede.

Fisicamente da quell’incidente riportò qualche danno?

"Fortunatamente non ho riportato nessuna conseguenza fisica da quello schianto, ma nell’anima è rimasta una ferita che non potrà mai guarire. Sono esperienze negative, violente, che non ti aiutano nella vita. L’infanzia di quelli a cui manca un genitore è un pochettino più difficile di quella di tutti gli altri bambini, anche se nel mio caso ho avuto chi è rimasto sempre vicino a me a darmi una mano".

Per quella "ferita nell’anima" si sveglia di notte ancora ripensando a quell’incidente?

"Gli incubi li avevo quando ero bambino. Adesso sono passati quasi quarant’anni e sono un adulto, non mi ricapita più, anche se questo non vuol dire che abbia completamente dimenticato".

La tragedia del Mottarone, oltre ad aprirle una ferita, le ha suscitato rabbia?

"Sono cose che non dovrebbero succedere nel 2021 evidentemente, ma non ho provato rabbia. Al momento non sappiamo neppure quale sia la causa dell’incidente e se c’entra la scarsa manutenzione. Lo stabilirà l’inchiesta".

Ha dato la colpa alla montagna?

"Non nutro nessun odio per la montagna. Non ho mai smesso di sciare e ho cercato pure di superare le mie paure prendendo le funivie e le telecabine. Quando succede cerco di non guardare giù e di non pensarci troppo".

Torna anche a sciare a Champoluc cercando di non pensarci troppo?

"A Champoluc non ci sono mai più tornato e non ho alcuna intenzione di rimetterci piede".