Venerdì 19 Aprile 2024

"Anch’io ho guardato nell’abisso Squid Game? Violento è il mondo"

La star della serie tv sudcoreana: le sfide mortali servono a smascherare l’ossessione per il denaro "Gli adulti devono avere il coraggio di guardare gli orrori, i bambini invece devono essere aiutati a capire"

Migration

di Giovanni Bogani

"A volte bisogna guardare la violenza che c’è nel mondo, nella società, non voltare gli occhi dall’altra parte. Ma sto parlando di noi adulti: i bambini hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a comprendere, a capire, a mettere in prospettiva". Lo dice Lee Jung-jae, protagonista della serie Squid Game, il fenomeno che ha travolto gli indici di ascolto di tutto il mondo, in cui a giocare sono 456 disperati, travolti dal fallimento della loro vita, dai debiti, senza più nessuna speranza. Controllati da un esercito di uomini senza volto, in una tuta rossa, armati. Spinti a giocare, un gioco in cui chi perde viene eliminato fisicamente. Ucciso, senza pietà. Più di 150 milioni di spettatori nel solo primo mese. Lee Jung-jae, il giocatore 456, è l’ospite d’onore del Korea film fest, la rassegna di cinema coreano più importante d’Europa. Eccolo, in un elegantissimo giacchetto di tela color crema, foulard, mocassini senza calze, ciuffo curatissimo. Parente lontano del disperato con la tuta verde.

Lee Jung-jae, la serie ha suscitato molte polemiche, per il fatto che molti bambini hanno imitato quei giochi violenti. Lei che cosa direbbe alle famiglie con figli che corrono il rischio di voler imitare il gioco?

"È chiaro che Squid Game è per un pubblico adulto, non per i bambini. Non tanto per la violenza che vi appare, ma per il fatto che gli adulti possono ragionare sul vero messaggio che la serie porta: è giusto il mondo di oggi, con la sua ossessione per il denaro, un mondo che porta a scambiare la propria vita col denaro? La violenza non è gratuita, serve a raccontare il mondo nel quale vivono i disgraziati, i ‘giocatori’ protagonisti della serie. Ma ci vuole un adulto per comprendere questo messaggio".

La società sudcoreana sembra disumana, per come viene mostrata nella serie. Stiamo perdendo tutti l’umanità?

"La società sudcoreana non è diversa dal resto del mondo, dove ci sono distanze sempre più enormi fra i ricchi e i poveri. Questo è il vero problema e il motivo profondo dell’immenso successo di Squid Game in tutto il mondo".

Dunque Squid Game non porta un messaggio di disperazione?

"No, perché il mio personaggio dice che c’è sempre un piccolo posto per l’umanità. Dice che anche in situazioni estreme ci si può comportare scegliendo di aiutare il prossimo".

La seconda stagione di Squid Game, ormai è ufficiale, si farà. Anzi, si parla già di una terza. Che cosa ci può dire al riguardo?

"Vorrei saperne più di voi: anch’io sto aspettando che il regista finisca di scrivere la sceneggiatura dei prossimi episodi. So solo una cosa: la sua arma vincente, nella prima stagione, è stata l’effetto sorpresa e sono sicuro che lo sarà di nuovo".

Si è fatto un’idea della guerra che sta riempiendo di ansia e dolore il mondo? Sa che si parla dell’Ucraina come di una possibile nuova Corea, nel senso di una possibile divisione?

"Il mio cuore, come quello di tutti, è straziato: spero solo che finisca tutto in fretta. Dovremmo occuparci di riscaldamento globale del pianeta, del fatto che rischiamo di non avere più un pianeta su cui vivere, invece di cercare di ammazzarci".

Ci sono stati momenti in cui si è sentito disperato come il giocatore 456 che interpreta?

"Anche a me è stata data una grande chance, un po’ come al mio personaggio: lavoravo alla cassa di un caffè a Seoul e qualcuno mi ha detto che avevo un volto giusto per la moda, o forse per il cinema. Da allora sono passati molti anni e molti film: e qualche volta ho pensato di smettere, qualche volta ho pensato che non ce la facevo più. Proprio come il mio personaggio".