Anche la politica ha latitato per 30 anni

L'arresto del capo di Cosa Nostra è una splendida notizia, l’arresto del capo di Cosa nostra dopo trenta anni di ricerche è una notizia che in qualche modo deve far riflettere. In particolare una classe politica, tutta, di destra, di centro e di sinistra, per cui la memoria corta è malattia professionale e vizio d’origine. L’incenso con il quale ieri si è comprensibilmente festeggiato il momento finale del difficile lavoro dei carabinieri e dei magistrati che hanno preso Messina Denaro dopo centinaia di arresti e intercettazioni, rappresenta l’epilogo di una guerra che lo Stato ha intrapreso con Cosa nostra una quarantina di anni fa, e che alla fine ha vinto. È il bicchiere mezzo pieno, forse più di mezzo. Non scontato, non banale, anche perché presuppone risultati su campi diversi del semplice aspetto operativo di un arresto; pensiamo al salto culturale che ha fatto una parte del Paese, o forse tutta, di fronte alla semplice parola mafia.

Ma la soddisfazione del momento, che nelle dichiarazioni di tutti i politici sfocia in certi casi in retorica, non può nascondere l’interrogativo sulla capacità di una classe dirigente che per arrestare un capomafia impiega trent’anni, proprio nel momento in cui, ci viene detto, la mafia sta cambiando pelle e si fa più pericolosa. Magistrati e inquirenti hanno fatto la loro parte, ma la politica, ancora, tutta, sarà all’altezza? Nella bella intervista che pubblichiamo all’interno, il generale Mario Mori spiega che quando uno stato decide di prendere un latitante, se vuole lo fa. Uno, due o tre anni ma alla fine ci riesce: sceglie un investigatore bravo, gli dà carta bianca e una squadra solo per lui. Speriamo che anche di fronte alla "nuova" mafia, quella di adesso, più insidiosa, anche geograficamente più vicina a noi perché non solo "siciliana", si dimostri la stessa determinazione vista in questi ultimi anni e che ha portato in carcere l’ultimo capo dei capi.