di Alessandro Belardetti
Professor Bonito Oliva, uno scarabocchio sul muro è arte?
"L’action painting è arte, parliamo di Pollock. Le sue opere sono nei musei. Quello stile è stato poi rivisto dalle minoranze etniche del Nordamerica: certo che è arte, già considerata dai collezionisti e dai musei".
È giusto che il cittadino comune, tra un palazzo medievale e una fontana classica, si debba sorbire un disegno con lo spray fatto per ribellione contro il sistema?
"Non è giusto. Questi sono eccessi che vanno evitati e puniti. I graffitari americani lavoravano sulle pareti della metropolitana, su vagoni. In Italia e in Europa ci sono, invece, troppi monumenti all’aperto indifesi che non vanno toccati".
L’uomo medio italiano, legato tradizionalmente alla visione di opere classiche, potrebbe dire: "Io se voglio andare a vedere Picasso vado al museo di Madrid. Perché invece mentre passeggio per Firenze oppure se salgo su un vagone della metropolitana devo guardare i muri e i finestrini completamente coperti di forme incomprensibili?".
"Il graffitismo alle nostre latitudini è aggressivo, obsoleto e invadente, in pochi casi è riuscito a produrre opere rispettabili. È un urlo nella pace culturale e storica del nostro Paese. Ritengo che il graffitismo non sia da accettare in ogni momento e in ogni luogo: è un eccesso di rumore, come un urlo fatto all’improvviso senza motivo. Io 30 anni fa feci una mostra a Roma nei mercati di Traiano sul graffitismo importante americano e nordeuropeo, che aveva opere originali e sorprendenti".
Allo stesso tempo, però, i graffitari escludono a priori e per definizione la possibilità di creare spazi ad hoc per poter esprimere la propria arte. Sarebbe offensivo e snaturerebbe la loro arte.
"Ma si tratta di un anarchismo assolutamente non considerabile. La maggior parte dei graffiti è espressione anarchica di soggetti senza alcun rapporto con l’arte che pensano di poter intervenire di nascosto e sono convinti questo gesto solleciti la loro possibilità di essere trasgressivi. Ma sono soltanto invadenti".
Come si può conciliare il paesaggio italiano classico e rinascimentale, con l’espressione artistica dei writers?
"È un cortocircuito iconografico che non porta a nulla. Chi non ha capacità di stile non è assolutamente conciliabile con la Storia dell’arte".
Tra vietare la libertà di espressione e di pensiero e non oltrepassare la libertà personale di gustarsi l’arte quando si vuole, c’è un compromesso? I grandi writers sono all’avanguardia e creano opere universalmente apprezzate, ma il 99% dei sedicenti graffitari spesso invadono spazi senza creare effettivamente valore aggiunto.
"Si può vietare di toccare le pareti che appartengono a strutture dedicate alla Storia, ma dare la possibilità di esprimersi in spazi delle periferie o in luoghi che non hanno alcun legame con il passato".
Come i vagoni della metro.
"Lì è cominciata la street art, proprio nelle metropolitane, uno spazio che dà l’idea di movimento. Non della stasi, ma della vitalità. Tutto il resto, però, sono presenze sbagliate".