Anche i robot avranno un’anima. "E saranno in grado di abbracciarci"

La sfida del professor Frisoli (Sant’Anna): "Copieremo nelle macchine il nostro sistema nervoso"

Verso il futuro: robot

Verso il futuro: robot

Nel suo ultimo romanzo dal titolo Klara e il sole (Einaudi) il premio Nobel Kazuo Ishiguro racconta la storia di una ragazza robot che impara ad amare la fanciulla adolescente di cui si deve prendere cura. Arriva a pregare per lei, a sacrificarsi per lei. Ma l’intelligenza artificiale può provare emozioni? Risponde Antonio Frisoli, professore ordinario di Ingegneria, settore meccanica applicata alle macchine, e docente di robotica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dove dirige l’area di Interazione Uomo-Robot.

Professore, partiamo dall’Affective computing, il ramo dell’intelligenza artificiale che si occupa di riconoscere ed esprimere emozioni.

"Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono in grado di elaborare grandi quantità di dati e quindi di fare deduzioni. Per esempio nel linguaggio non verbale, che può essere registrato attraverso sensori o telecamere, ci sono informazioni che possono essere decodificate e che esprimono naturalmente – attraverso il tono della voce, il timbro, la frequenza cardiaca – caratteristiche che noi umani siamo abituati a interpretare anche associate a stati di personalità o condizioni emotive. Per un algoritmo che accede a questi dati è abbastanza semplice identificare quegli elementi, quindi distinguere, per esempio, il linguaggio di una persona ansiosa o rilassata, o uno stato di tristezza rispetto a uno di felicità e così via. In aggiunta, si possono utilizzare anche dei dispositivi indossabili che danno informazioni su chi abbiamo di fronte".

Quale può essere l’utilità di queste capacità degli algoritmi?

"Un utilizzo è ovviamente tracciare profili a fini commerciali. Ma un altro è quello per accudire bambini con autismo, e qui è importante che i robot siano in grado di avere una interazione che passa attraverso abilità sociali ed emozionali, e ci sono dei nuovi robot che hanno questa capacità. Si adattano alla persona che hanno di fronte. Un altro esempio riguarda l’assistenza agli anziani: anche qui è importante che il robot sappia adattarsi alla comunicazione non verbale oltre che a quella verbale".

Che cos’è l’Affective touch?

"Il tatto affettivo, qualcosa di simile al rapporto della mamma col bimbo, la carezza, il contatto dei corpi... Molti robot che sono pensati per l’interazione sociale – ad esempio se ne sta sperimentando uno a forma di orsacchiotto per ’misurare’ gli abbracci – non sono rigidi, hanno delle parti soffici. Le superfici sono studiate affinché anche durante il contatto non trasmettano sensazioni opposte a quelle di empatia".

È possibile sviluppare un’empatia reciproca con un robot?

"Può succedere, anche se sappiamo che il robot è una macchina inanimata. Ci sono studi, soprattutto nella società giapponese, dove si nota un’abitudine ad attribuire una personalità anche a soggetti non umani. Ma parliamo di una cultura molto diversa dalla nostra".

È possibile immaginare un robot che - come Klara nel romanzo - ci ’imita fino al cuore’? Che replica l’unicità, l’anima di una persona?

"Uno dei limiti incontrati finora era nella difficoltà di avere sistemi computazionali con lo stesso numero di connessioni esistenti nel sistema nervoso centrale umano. Ora esistono supercomputer con i quali è possibile fare delle simulazioni molto complesse. Se le nostre emozioni sono codificate all’interno di un hardware, che è poi il nostro sistema nervoso centrale, è possibile andare a replicarle in una macchina, simulandole. C’è da vedere se questa rappresentazione neurofisiologica dello stato emotivo della personalità esaurisce o meno quello che rappresenta un individuo. È un discorso filosofico, c’è qualcosa che trascende la parte neurofisiologica. Però di principio, se parliamo di un sistema fisico con determinate proprietà elettriche e quant’altro, diciamo che ci sono i presupposti perché possa essere riprodotto. Che poi la copia non sia come l’originale, questa è un’altra cosa, ma avremmo le sembianze della personalità originaria. Naturalmente parliamo sempre di scenari futuribili, con macchine potentissime e un alto livello di complessità".

Quando sarà possibile?

"Attualmente gli algoritmi non fanno questo: sono specializzati in cose settoriali. Però da qui ai prossimi anni, è una frontiera verso cui si può cui andare".

Nel romanzo Klara si sacrifica per il bene della sua assistita: è plausibile?

"Sìcuramente. È il sogno, la speranza di chi lavora per realizzare delle macchine autonome".