Mercoledì 24 Aprile 2024

Amnesty lascia Hong Kong: libertà soppressa

L’organizzazione umanitaria: "La nuova legge sulla sicurezza nazionale ci impedisce di lavorare senza temere rappresaglie dal governo"

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di Cesare De Carlo

Amnesty International si arrende. A fine settimana lascerà Hong Kong, ormai sotto il pieno controllo del regime di Pechino. Inutile battersi per i diritti umani quando la sua stessa sicurezza è in pericolo. "Non abbiamo scelta – dice il presidente Anjula Mya Singh Bais – perquisizioni, arresti, chiusure sono la regola". Bersagli le organizzazioni umanitarie, i giornali, le pubblicazioni ’sovversive’, i siti Internet "complici con elementi stranieri", studenti e insegnanti per "terrorismo mediatico", eccetera. Di qui il timore degli attivisti di Amnesty International. In qualsiasi momento potrebbero finire nelle prigioni comuniste. Meglio andarsene prima. Si trasferiranno a Seul, nella Corea del Sud.

Le agenzie di stampa riportano la notizia con risalto. E questo si capisce. Hong Kong non è una enclave qualsiasi. È tuttora uno dei centri finanziari e industriali più importanti del mondo. La città più ricca, più densamente popolata, più esclusiva. Quella con il maggior numero di miliardari, con uno dei più alti redditi pro capite, con una propria valuta, il dollaro di Hong Kong. Fu occupata dai britannici nel 1842 dopo le due guerre dell’oppio. Era il prezzo della sconfitta patita dalla dinastia imperiale Qing. Poi nel 1898 diventò una colonia a tempo, vale a dire la Gran Bretagna si impegnò a restituirla alla madrepatria dopo un leasing di 99 anni. E così nel 1997 ritornò alla Cina. Ma la Cina nel frattempo era diventata una dittatura comunista ed è per questo motivo che i britannici si premurarono di strappare alcune garanzie. L’ex colonia avrebbe mantenuto le sue libere istituzioni per quarant’anni. Ne sono passati poco più della metà. Adesso quelle istituzioni non ci sono più. L’autonomia è un ricordo.

Ieri nel riportare la notizia della rinuncia di Amnesty International i sinologi hanno dato l’impressione di essere stati colti di sorpresa. E questo davvero non si capisce. Dimenticano che è nella logica dei totalitarismi imporre con la repressione le proprie strutture liberticide. Dunque in barba agli accordi la formula negoziata di "uno Stato, due sistemi" è stata ridotta a "uno Stato, un sistema". Nella sua omogenizzazione coatta il regime di Pechino ha usato la tattica del salame. È un caposaldo della dottrina leninista: il potere si conquista una fetta alla volta, dove possibile. Dove non è possibile, come nel caso di Taiwan, si ricorre alle maniere forti. E perciò è prevedibile che entro un paio di anni, i ribelli dovranno fronteggiare un’invasione. È più di una speculazione. È un proposito ufficiale. Lo proclama il presidente cinese Xi Jinping. Con baldanza. Dopo l’Afghanistan e la fuga indecorosa degli americani presume di poter forzare la mano. Biden si conferma confuso, arrendevole, inaffidabile. Rischierà una guerra nucleare per onorare il patto militare con Taiwan?

Tornando a Hong Kong, il presidente di Amnesty International ha motivato la chiusura della sede con la nuova legge di "sicurezza nazionale". Fu varata nel giugno del 2020. Il mondo era alle prese con il Coronavirus e dunque non ci fece molto caso. Da allora centinaia gli arresti di attivisti, politici, ex membri del parlamento cittadino. Le accuse: collusione con governi stranieri, secessionismo, sovversione. Ma Chun-man – ha rivelato Bais – era un rider per le consegne a domicilio e un attivista per la democrazia. Pedalando cantava slogan per l’autonomia di Hong Kong. Postava anche i suoi appelli sui social. Farà sette anni di carcere. Secondo il giudice i suoi ritornelli "avevano il proposito di incitare altri a seguire le sue idee".