Martedì 16 Aprile 2024

Amiche uccise al casello Con l’auto a 150 all’ora, il conducente era fuggito dal pronto soccorso

Milano, rimasto senza psicofarmaci era in attesa del ricovero in psichiatria. Ha tamponato l’utilitaria delle due donne ferma per il pedaggio

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di Anna Giorgi

Dietro la tragedia di Laura Amato, 54 anni e Claudia Turconi di 59, le amiche morte la sera in cui avevano festeggiato i loro compleanni, schiacciate dalla Lancia Musa che le ha travolte ai 150 orari nella notte tra venerdì e sabato, alla barriera Ghisolfa sulla A4 Torino-Milano, c’è una concatenazione di coincidenze che ha preparato il terreno della disgrazia, lasciando l’italomarocchino di 39 anni – paziente psichiatrico in cura dal 1995 – guidare la sua auto in preda a una pesante crisi psicotica. È così che al termine di un delirante viaggio, iniziato giovedì sera e proseguito a tappe tra Piacenza, Gallarate e Milano, il 39enne ha ucciso due donne, che hanno rispettivamente lasciato orfani due e quattro figli.

Su quelle tappe e su eventuali responsabilità sta indagando la procura di Milano, pm Paolo Filippini. Giovedì sera l’uomo si sente male, dà segni di scompenso perché in autonomia aveva deciso di interrompere il trattamento medico. Esce di casa, a Pontenure (Piacenza), si mette in macchina e convinto dalla moglie va all’ospedale più vicino, quello di Piacenza, per farsi prescivere di nuovo i farmaci. Arriva al Pronto Soccorso, ma se ne va subito, senza nemmeno aspettare l’accettazione. Si rimette in auto, ma non torna a casa e la moglie racconterà agli investigatori di avere perso le sue tracce quella sera stessa. Ricompare venerdì all’aeroporto di Malpensa dove, nel frattempo, aveva fatto un biglietto per raggiungere il Marocco.

Al momento dell’imbarco però, il personale si accorge di quell’uomo che appare molto agitato e disconnesso nei discorsi, avverte il 118 che lo porterà direttamente al Pronto Soccorso di Gallarate. Un brandello del braccialetto trovato in auto, è una prova dell’accettazione avvenuta in nosocomio e della destinazione al reparto psichitrico. Lui però dall’ospedale di Gallarate riesce, non si sa come, a dileguarsi senza che nessuno si accorga di nulla. Accende il cellulare, chiama il cugino e gli chiede se può andare a riprenderlo e ad accompagnarlo all’auto lasciata nel parcheggio di Malpensa.

Il cugino, almeno così riferirà agli investigatori, lo avrebbe pregato di seguirlo nella sua casa milanese, per tranquillizzarsi prima di tornare dalla moglie. Un consiglio dato senza fortuna. Perché il 39enne, in realtà si rimette a bordo della Musa e guida, guida fino a notte fonda quando incrocia il destino, anche questo senza fortuna, delle due amiche che sulla Ypsilon, quasi ferme, stavano inserendo il biglietto del pedaggio autostradale. L’ultimo, importante, controllo di cui si occuperà la procura è sulla patente del 39enne. Guidava senza? O il Centro psico sociale che lo curava non ha mai segnalato la necessità che gli venisse tolta? Ora il 39enne si trova ricoverato al San Carlo di Milano in attesa di una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) in cui "scontare" il duplice omicidio colposo.