Altro che riti La giustizia non cambia mai

Raffaele

Marmo

Sarà per il drastico calo di consenso che ha colpito la magistratura. Sarà perché il mondo ha subito una brusca accelerazione negli ultimi anni che solo certi mondi, come quello della giustizia, non percepiscono, impermeabili a qualsiasi innovazione. Fatto sta che il rito dell’apertura dell’anno giudiziario, riproposto in tutta Italia, appare sempre di più come la celebrazione di una funzione priva di sostanza. Una cerimonia autoreferenziale fine a se stessa.

Siamo sicuri, infatti, che se prendessimo le relazioni dei procuratori delle Corti d’Appello del ventennio passato e, forse, anche di quello precedente, cambierebbe solo il nome del magistrato officiante. Dentro, invece, vi ritroveremmo gli stessi concetti e allarmi, le denunce, con le stesse parole, sullo stato della giustizia in Italia.

Oggi, come venti o trenta anni fa, abbiamo a che fare con l’"arretrato dei processi civili e penali", con la "carenza strutturale del personale", con la "scarsità di mezzi e risorse", con l’elencazione statistica della ricorrenza dei reati, con il "grido di dolore" di un settore per il quale serve "un’inversione di rotta".

Eppure, la prima, più radicale, inversione di rotta dovrebbe essere la fine di qualsiasi forma di corporativismo funzionale alla gestione delle carriere più che alla soluzione dei decennali mali che ogni anno sentiamo ripeterci in una cantilena che non appassiona più nessuno.