Giovedì 25 Aprile 2024

Alpinista manager

Marcella

Cocchi

Facile essere generosi da paperoni, si dirà. Ma se fosse così, saremmo a posto: i ricchissimi donerebbero senza limiti, gli Stati Uniti avrebbero dato ascolto molto prima a Bill Gates, che propone di tassare di più i milionari, mentre alle nostre latitudini si smetterebbe di sponsorizzare la flat tax come equa. La realtà è ben diversa. Basta prendere l’ultimo valore abnorme dell’indice che misura le diseguaglianze, basta considerare gli attacchi speculativi degli hedge fund che stanno di nuovo mettendo nel mirino l’Italia del maxi debito, basta avere il coraggio di ammettere gli aumenti stratosferici degli extraprofitti che le aziende del settore energetico hanno accumulato con i rincari derivanti da una tragedia: gli oltre 200 giorni di guerra in Ucraina (indaga la procura di Roma). In questo contesto, la scelta del fondatore del marchio Patagonia non solo è una notizia ma rappresenta anche un faro nella nebbia. A 83 anni, la leggenda dell’alpinismo americano Yvon Chouinard e la sua famiglia hanno deciso di cedere l’azienda dell’outdoor trasferendo le loro azioni (valutate 3 miliardi di dollari) a un fondo ad hoc e a un’organizzazione no profit. La somma dei profitti annuali di Patagonia, 100 milioni di dollari l’anno, sarà destinata alla battaglia per l’ambiente. "Per combattere il cambiamento climatico e proteggere i terreni non sviluppati", ha detto il miliardario scalatore.

Patagonia continuerà a vendere per fare profitti, ma i Chouinard non saranno più i proprietari, pagheranno 17 milioni di tasse per il passaggio e hanno legato la loro creatura a quello che gli scienziati considerano la più grande emergenza del secolo: il salvataggio del pianeta. Una lezione ai leader dei tanti vertici che negli anni hanno partorito solo retorica ambientalista. Un’eredità concreta lasciata da un privato. Un modo per ricordarci anche che, assieme alle distorsioni del capitalismo sfrenato, esiste qualche visionario che batte a segno non solo per il profitto senza orizzonte.

Certo, a dirla tutta, mister Patagonia non è nuovo alle stravaganze. Indimenticabile la campagna di marketing non convenzionale lanciata nel 2011. L’immagine era quella di uno dei giacconi tecnici e allo stesso tempo lussuosi del brand. Lo spot recitava più o meno così: “Non comprare questa giacca“. Accanto, l’elenco dei costi ambientali per produrre un singolo capo (ad esempio più di 130 litri di acqua utilizzati e 10 kg di anidride carbonica). La pubblicità autolesionista pagò. Perché, vedete, ci sono sempre due modi di guardare alle cose: uno miope, che pensa ai guadagni immediati, e quello di chi mira alla luna piuttosto che al dito. Mister Patagonia ha fatto e farà soldi anche con il marketing furbo, non si discute, ma di sicuro sa dare un segno alla filantropia. La direzione è: salvare il futuro.