Alluvione Marche, dagli argini ai bacini: le opere mai fatte. "E la politica dov’è?"

A Senigallia non sono state realizzate le casse di espansione a Nord. Ma in Italia manca anche la manutenzione ordinaria sui corsi d’acqua

Una coppia mangia sul divano distrutto posizionato in giardino dopo l'alluvione (Ansa)

Una coppia mangia sul divano distrutto posizionato in giardino dopo l'alluvione (Ansa)

L’alluvione di Senigallia e le opere mai realizzate. La lista è lunga, mentre la memoria di tutti torna al 2014: altro disastro, altri morti. Sì, le casse di espansione a nord, giustamente molto citate. "Ma non basta – avverte Andrea Dignani, geologo-geomorfologo fluviale e consulente scientifico del Wwf –. In una condizione climatica come questa, sono urgenti anche opere diffuse sul territorio". Perché "anche i modelli finora più virtuosi, come quello tedesco, sono stati messi in crisi, e lo abbiamo visto con l’ultima alluvione".

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Intanto dobbiamo liberare i fiumi, "molti Paesi europei, ma anche la stessa Ue, ci dicono che bisogna togliere le opere in cemento". Ma la diagnosi sul fiume Misa va oltre. "Quel bacino – sottolinea Dignani – è piccolo e stretto, molto sensibile e vulnerabile a questi eventi. In questi anni non è stato gestito il reticolo idrografico minore, non ci siamo preoccupati dei fossi e degli affluenti". Invece sarebbe urgente intervenire "con tecniche di ingegneria naturalistica per evitare le erosioni e le frane, rallentare il deflusso delle acque ed evitare che si riversino tutte contemporaneamente sul Misa".

E qui si apre uno dei capitoli più spinosi, quello della "delocalizzazione". Ancora: sull’alveo del fiume, suggerisce il geologo, "servivano aree di laminazione diffuse per rallentare l’onda di piena con l’espansione sui terreni circostanti". Infine, è urgente "una migliore gestione delle aree agricole, grazie a piccoli bacini di raccolta e laghetti collinari utili anche per i periodi siccitosi".

Ecco, la siccità. "L’altro volto del cambiamento climatico che abbiamo largamente sperimentato quest’estate", è l’analisi del presidente Anbi Francesco Vincenzi. Che parte da un numero choc: il Misa straripato a Senigallia – dove sono piovuti solo 5,6 millimetri – alle 22 aveva un’altezza di 21 centimetri, alle 23.45 di 5,31 metri.

L’ufficio studi dell’associazione nazionale Consorzi gestione e tutela territorio e acque irrigue manda in circolo i dati e ci mette il punto esclamativo. Il presidente non ha dubbi: "Il Paese è fragile, oltre il 90% dei comuni è a rischio dissesto e siccità. Quali opere servono? La prima è la manutenzione ordinaria, la pulizia degli alvei, la manutenzione delle rive, la gestione dell’acqua da monte a valle".

Ci sono negli occhi di tutti le immagini degli allagamenti. Il presidente Anbi osserva: "Sicuramente è da ripensare il modello di sicurezza nel nostro Paese. Penso a scantinati e case sotto il livello del suolo. Non mi pare più possibile".

Dignani, marchigiano, scrive sul tema da più di vent’anni. Come si sente, oggi, a commentare un altro disastro? "Purtroppo le nostre previsioni si avverano, e in questo non c’è purtroppo soddisfazione. Mentre nella campagna elettorale le questioni ambientali e climatiche restano ai margini", avverte. Sospiro.