Strage di Ardea, allarme malati psichici. "Intervenire è difficile"

L’omicida-suicida era un fantasma, anche per i servizi di salute mentale. Quasi un milione gli italiani in cura. Crepet: "Ogni volta andiamo ai funerali"

Andrea Pignani, 34 anni, si è tolto la vita dopo la strage. Sui social usava il nome Hyde

Andrea Pignani, 34 anni, si è tolto la vita dopo la strage. Sui social usava il nome Hyde

Il killer suicida di Ardea era un fantasma (armato però). Anche per i servizi di salute mentale. Che l’hanno incrociato fugacemente. Solo "una consulenza psichiatrica", neanche un Tso. Un passaggio in ospedale dopo le minacce alla mamma. Che confidava ai vicini: "Il mio ragazzo è sempre solo. Non si cura neppure". Ecco il rebus, come si fa ad aiutare chi rifiuta di essere aiutato? Possibile che si debba arrivare sempre dopo? Che ogni volta si debba "andare ai funerali", per dirla con Paolo Crepet?

Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria, si infiamma: "Dobbiamo farci la domanda opposta: i servizi assistono 978mila pazienti, quelli gravi sono 245mila. Allora, quanti omicidi ogni giorno previene e impedisce questo sistema?". Ma perché Andrea Pignani non è stato intercettato prima che potesse fare del male? "La risposta formale – risponde Di Giannantonio – è che il numero dei professionisti in capo ai servizi non è assolutamente adeguato. Poi il lockdown ha provocato un allentamento delle attività sul territorio. Ma, nella sostanza, la verità è che non siamo in grado di dare una risposta a tutti i problemi di chi ha la mente disturbata. Quante volte la magistratura e le forze dell’ordine sottovalutano gli allarmi di una persona che poi finirà uccisa dal proprio ex?".

"La tragedia di Ardea non è responsabilità della legge voluta dallo psichiatra Franco Basaglia, ma di chi quella legge non l’ha applicata o, se l’ha applicata, l’ha fatto per un breve periodo", è il pensiero di Rosy Bindi, ex ministro della Salute. E allora torniamo a quel corto circuito, la libertà di rifiutare le cure. Ma chi dovrebbe fare da sentinella? I medici di famiglia, ad esempio, dovrebbero avere la capacità di intercettare il pericolo? "Attenzione – è il ragionamento del presidente Sip –. Se i familiari, gli operatori dei servizi psichiatrici o della forza pubblica hanno testimonianza o prova che il paziente soffra di una patologia grave, il sistema sanitario nazionale ha due modi per intervenire. Si parte dall’Aso, l’accertamento sanitario obbligatorio". Però chi sta male può protestare, non ho niente, non voglio niente... "Ma se ci sono i segnali, deve essere comunque sottoposto a una visita specialistica, anche contro la propria volontà – chiarisce Di Giannantonio –. Se poi viene riconosciuto bisognoso di un intervento terapeutico, il sistema sanitario interviene con il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio".

Sì, ma dopo? "Non ci si limita a un intervento farmacologico esclusivamente nei giorni di ricovero nel reparto acuti – spiega lo psichiatra –. Il sistema sanitario nazionale prevede la presa in carico attraverso visite domiciliari, ambulatoriali, attraverso la somministrazione di farmaci, da 3 a 12 settimane, con una frequentazione a domicilio e nei centri di salute mentale. Se la patologia psichiatrica non si risolve, se il paziente continua ad avere bisogno di trattamento, se la sintomatologia non è debellata, la presa in carico può durare per tutta la vita".