Alla premier serve la sponda dell’Europa

Pierfrancesco

De Robertis

Con le visite in Algeria e Libia Giorgia Meloni vara un piano Mattei per rimettere ancora di più l’Italia al centro del Mediterraneo. La citazione di uno dei grandi italiani del Novecento, è estremamente evocativa. Mosse che prefigurano però uno scenario non semplice, un sentiero che via via si fa più stretto. E più rischioso.

Se infatti l’Italia vorrà esercitare un peso più rilevante nel nord Africa non potrà farlo contro la Francia, che lì ha interessi pari se non superiori ai nostri (citofonare Total, o paesi del Sahel), e contro l’Unione europea. Impossibile far fronte alla sfida libica di russi e turchi senza una solida sponda a Bruxelles.

Il partenariato con Parigi e Berlino, socio forte Ue, è poi quello che ci serve per contrastare la più importante sfida economica di questo momento, ossia il mega piano di investimenti pubblici Usa, l’Inflaction Reduction act, che finisce per riguardare l’Unione europea, e quindi l’Italia.

La Spd tedesca si è dichiarata favorevole all’ipotesi di stanziare fondi comunitari per rispondere all’Ira di Biden, venerdì la premier incontra Scholz e sarà questo uno degli argomenti forti sul piatto.

Mentre "apre" un fronte mediterraneo la premier non può quindi non tener conto degli articolati rapporti con i soci forti europei, peraltro allarmati dai ripetuti incontri con il capo del Ppe Weber, volti a far saltare nel 2024 la grosse koalition Ue. In tutto questo Meloni è chiamata a sciogliere alcuni dei nodi di fondo della narrazione che l’ha portata a palazzo Chigi.

Il sovranismo è ormai un ricordo, e questo l’abbiamo capito, ma non basta stare insieme a Zelensky per dimostrare la capacità di governare una fase così complessa. Servono altri atti concreti. Il nodo Mes andrà risolto il prima possibile, come pure il frontale con la Ue per i balneari. Finora Meloni di fronte a questi argomenti ha alzato gli occhi e iniziato a fischiettare. Ora, per usare parole sue, la pacchia è finita.