Al Paese serve una compagnia di bandiera

Antonio

Troise

Con un quarto dei dipendenti e la flotta dimezzata, parte finalmente la nuova Alitalia. C’è voluta tutta l’autorevolezza di Super-Mario Draghi per dare una svolta alla difficilissima trattativa con Bruxelles, ostile ad un salvataggio al limite delle regole della concorrenza. E c’è voluta la certosina pazienza di Mef, Ministero dei Trasporti e dello Sviluppo economico per elaborare un piano industriale "credibile" e, soprattutto, sostenibile. Ma ora siamo davvero di fronte all’ultima chiamata.

È ovvio che la compagnia, per poter reggere e continuare a volare, senza far perdere ulteriori denari ai contribuenti, dovrà cambiare pagina, archiviare definitivamente la lunga stagione delle strategie e dei bilanci in rosso nati e cresciuti all’ombra della politica. Bisognerà trovare, al più presto, un compratore o, quanto meno, un partner in grado di traghettare la nuova Ita verso rotte e mercati competitivi e in grado di macinare utili. La grande scommessa è tutta qui. Un Paese come l’Italia, a forte vocazione turistica, ha tutto da guadagnare ad avere una compagnia di bandiera. Ad una condizione: l’intervento pubblico, resosi necessario durante l’emergenza Covid, deve essere orientato al mercato e soprattutto deve essere a termine, allontanando definitivamente le vecchie tentazioni dello Stato imprenditore. Solo così il salvataggio non si trasformerà nell’ennesimo buco nero per lo Stato e i contribuenti.