Aggredita la figlia dell’allenatore Lui si arrende: basta, lascio la mia città

Grassadonia guida il Pescara ma vive a Salerno. Gli ultrà granata: "Quella partita la devi perdere o non torni a casa"

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SALERNO

C’è una ragazza di 18 anni aggredita perché il padre "capisca". E c’è una famiglia che abbandonerà la città in cui ha vissuto finora. Per una partita di calcio di serie B, che si disputerà oggi. Quel match è Pescara-Salernitana: gli abruzzesi, già retrocessi, ospitano i campani che devono vincere per tornare in serie A. Una ragione sufficiente, secondo alcuni, per aggredire la figlia dell’allenatore del Pescara, Gianluca Grassadonia. Un salernitano di origine che negli anni ’90, da calciatore, si trovò più volte a giocare con i colori della sua città. Così verso le 22 di sabato, in centro, la ragazza è stata avvicinata da due ragazzi incappucciati, che l’hanno spintonata e in dialetto le hanno parlato della partita di oggi. Il concetto è: "Deve perdere se no non torna più a casa".

A raccontare l’accaduto, con un post su Facebook, è stata per prima la moglie dell’allenatore, Annabella Castagna, che parla di un clima insopportabile già da diversi giorni: "Dopo cinque giorni di minacce e insulti dirette alla nostra famiglia, la follia consumatasi questa sera è intollerabile – ha scritto nella notte tra sabato e ieri –. Nostra figlia, appena diciottenne, è stata minacciata e aggredita con spintoni e calci affinché il papà capisca... Tutto questo per una partita di calcio". Castagna definisce "criminali, ben lontani dall’essere tifosi" gli aggressori, augurandosi "che vengano identificati al più presto, anche perché questa è la prima volta in cui il bersaglio della violenza è stato un componente della nostra famiglia".

Ieri la ragazza, Paola, ha sporto denuncia dai carabinieri. L’addio alla città è stato confermato anche da Grassadonia, secondo quanto riporta Salerno Today: "È una vergogna – avrebbe detto –. I miei familiari prenderanno un taxi e andranno via, anzi scapperanno via. Li aspetto in Abruzzo. Basta, adesso basta". Poi è iniziato il silenzio stampa. In un comunicato durissimo, la società abruzzese ha fatto sapere che il tecnico del Pescara non avrebbe svolto conferenze stampa prima della partita. Sospesi gli accreditamenti stampa giunti da Salerno. E la società si è "prodigata affinchè la famiglia Grassadonia raggiunga al più presto Pescara per garantire quella serenità purtroppo venuta meno nella loro città di origine". La Questura di Pescara ha predisposto un servizio di controllo preventivo intorno alla famiglia di Grassadonia, oltre a rinforzare il servizio di ordine pubblico attorno allo stadio per evitare l’avvicinamento di tifosi salernitani. Gli ultras della Salernitana, dal canto loro, si sono dissociati con una nota, rivolgendosi direttamente agli aggressori: "Vergognatevi".

Anche la società granata ha condannato "i comportamenti intimidatori ed offensivi messi in atto in queste ore da qualcuno", ipotizzando che l’aggressione sia "la conseguenza di un clima costruito ad arte per generare odio da personaggi di basso calibro che puntualmente pubblicano sul web false notizie". Il riferimento è ad alcune frasi attribuite a Grassadonia in una recente conferenza stampa, ma che – è la stessa società campana a dirlo – non sono mai state dette. Come se poi fosse vietato, al tecnico di una squadra, fare riferimento al futuro impegno di campionato. La solidarietà è arrivata anche dalle istituzioni. Lega Serie B con il presidente Mauro Balata parla di "un gesto vile, barbaro che non ha diritto di cittadinanza nel calcio e nella Serie B, ad opera di personaggi che nulla hanno a che fare con una tifoseria civile come quella di Salerno". Il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli manda "un abbraccio" alla famiglia e avverte: "Non permetteremo a nessuno d’infangare Salerno".

Grassadonia è salernitano e ha vestito la maglia dei granata a più riprese, soprattutto negli anni ’90. A Salerno ha pure iniziato la carriera da allenatore. Era già stato vittima di frange violente del tifo calcistico. Nel 1996, proprio a Salerno, dopo un autogol venne aggredito nel garage di casa da tre giovani che lo presero a pugni e a calci. Nel 2003 era a Cagliari: altro autogol, stavolta i presunti tifosi gli incendiarono l’auto. I suoi tre figli, soprattutto i due più grandi, videro tutta la scena. "Purtroppo noi calciatori continuiamo a essere vittime di episodi di violenza – disse all’epoca –. Come si può uscirne? Sento tante belle parole in giro ma poi come al solito non cambia niente". Sono passati 18 anni. Sua figlia Paola, la terza, aveva pochi mesi.

Riccardo Rimondi