di Davide Rondoni Tornano i riti pasquali. L’Italia dopo due anni di divieti che hanno nascosto anche molti gesti religiosi torna a punteggiarsi di manifestazioni rituali. Vie crucis, processioni, liturgie dove morte e vita si fronteggiano e dove l’ultima parola è del Risorto. Non è stata una perdita da poco. Si sono fatti molti calcoli – azzeccati o meno – sulle perdite economiche causati dalle chiusure pandemiche. In pochi si sono soffermati sulle perdite spirituali. Qualcuno, di recente e tardivamente a quanto su queste colonne dicemmo subito, si è accorto del grado di disagio cresciuto tra giovani e adolescenti. Ma quanto si è perduto nel non potersi ritrovare insieme nei riti centrali della fede? Un popolo senza riti, puó anche esser libero di girare, di comprare, ma se non ha i segni importanti della sua fede e della sua cultura da poter celebrare insieme è comunque amputato e schiavo. Anche se spesso ce lo si dimentica la libertà di culto è tra i diritti fondamentali. Non a caso, i totalitarismi la colpiscono. L’Italia dunque torna a pullulare di riti, anche coloriti come in molti luoghi – le processioni di tanti paesi del sud dove si racconta in modo appassionato e colorito la Passione di nostro Signore – oppure rivisitati da molti carismi contemporanei come le Vie crucis nelle città di molte nuove comunità di cristiani. Tradizione e presente danno vita a un teatro del sacro senza il quale non saremmo noi stessi. Vi partecipa gente con molta fede, e anche un sacco di gente con fede vacillante e gente in ricerca. Ma quei segni, la croce, i veli, le processioni, le uova benedette, la benedizione dell’acqua, dei ceri, i canti nelle tenebre, i cori di esultanza, ecco tutto questo non è un armamentario ornamentale. Senza i riti restano solo i marchi ...
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