di Antonio Troise La strada, è il caso di dire, è tracciata. "Si apre una nuova pagina per una privatizzazione che non è andata a buon fine. Avremo un regime concessorio più moderno, efficiente ed equo, a vantaggio degli utenti e degli investimenti", fa sapere il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Ma il futuro da public company della nuova Autostrade per l’Italia (Aspi) è tutto da scrivere. L’unico dato certo, al momento, è che i Benetton non avranno più il bastone del comando. Anzi, quando Aspi approderà in Borsa, usciranno definitivamente di scena, rinunciando a tutte le loro quote. In compenso, il pacchetto di maggioranza finirà nelle mani di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), segnando di fatto la rinazionalizzazione di Autostrade. Con quattro lettere distinte e un duro braccio di ferro con il governo, Atlantia, la società che controlla l’88% di Aspi, ha deciso di farsi da parte per evitare, in extremis, la revoca della concessione. Ora però si apre una fase che durerà fra i 6 e i 12 mesi, non priva di incognite. Anche se ieri, in Borsa, si è festeggiato il pericolo scampato di un default del gruppo. Il titolo ha chiuso con un guadagno del 26,65%, dopo avere scambiato quasi 18 milioni di azioni, pari al 2,2% circa del capitale, recuperando ampiamente gli 1,7 miliardi di euro persi lunedì scorso. Ma che cosa succederà, ora, in concreto? E quanto costerà, a Cdp (e, quindi, allo Stato) l’operazione di rinazionalizzazione della rete? Il primo passo per la creazione della nuova public company sarà un aumento di capitale fra i 3 e i 4 miliardi di euro riservato a Cdp, che diventerà il primo azionista di Aspi, con una quota compresa fra il 30 e il 33%. Ma non basta. Atlantia venderà circa il 25% delle azioni in suo possesso ...
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