Addio Benetton, Autostrade torna pubblica Ma l’intesa ci costerà almeno dieci miliardi

Raggiunto l’accordo col governo: la famiglia veneta esce di scena ed evita la revoca della concessione. Il controllo passerà a Cdp. Ci vorranno tempo (tra i 6 e i 12 mesi) e risorse. Intanto l’annuncio ha fatto volare le azioni di Atlantia in Borsa (+26,6%).

di Antonio Troise

La strada, è il caso di dire, è tracciata. "Si apre una nuova pagina per una privatizzazione che non è andata a buon fine. Avremo un regime concessorio più moderno, efficiente ed equo, a vantaggio degli utenti e degli investimenti", fa sapere il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Ma il futuro da public company della nuova Autostrade per l’Italia (Aspi) è tutto da scrivere. L’unico dato certo, al momento, è che i Benetton non avranno più il bastone del comando. Anzi, quando Aspi approderà in Borsa, usciranno definitivamente di scena, rinunciando a tutte le loro quote. In compenso, il pacchetto di maggioranza finirà nelle mani di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), segnando di fatto la rinazionalizzazione di Autostrade. Con quattro lettere distinte e un duro braccio di ferro con il governo, Atlantia, la società che controlla l’88% di Aspi, ha deciso di farsi da parte per evitare, in extremis, la revoca della concessione.

Ora però si apre una fase che durerà fra i 6 e i 12 mesi, non priva di incognite. Anche se ieri, in Borsa, si è festeggiato il pericolo scampato di un default del gruppo. Il titolo ha chiuso con un guadagno del 26,65%, dopo avere scambiato quasi 18 milioni di azioni, pari al 2,2% circa del capitale, recuperando ampiamente gli 1,7 miliardi di euro persi lunedì scorso.

Ma che cosa succederà, ora, in concreto? E quanto costerà, a Cdp (e, quindi, allo Stato) l’operazione di rinazionalizzazione della rete? Il primo passo per la creazione della nuova public company sarà un aumento di capitale fra i 3 e i 4 miliardi di euro riservato a Cdp, che diventerà il primo azionista di Aspi, con una quota compresa fra il 30 e il 33%. Ma non basta. Atlantia venderà circa il 25% delle azioni in suo possesso ad altri investitori istituzionali graditi a Cdp. Con un impegno preciso: i ricavi resteranno nei forzieri di Aspi e dovrebbero coprire un piano di investimenti che, fra nuovi interventi e manutenzione, supererà i 20 miliardi di euro.

In questa fase, i Benetton avranno una quota inferiore all’11%. A questo punto scatterà lo scorporo di Aspi dal perimetro di Atlantia e la sua contestuale quotazione in Borsa. Gli azionisti della holding di Treviso valuteranno se vendere le rispettive quote e aumentare il flottante o cederle direttamente a Cdp (o ad altri investitori istituzionali). Al termine del percorso, Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe avere nelle sue mani almeno il 51% della società, mentre i Benetton usciranno definitivamente.

Quanto costerà tutto questo a Cdp? I calcoli, al momento, sono difficili. La cifra, secondo le prime stime, si aggirerà fra i 10 e gli 11 miliardi. Ma molto dipenderà dalla valutazione che sarà fatta di Aspi. Sull’operazione peserà sia il forte ridimensionamento (da 23 a 7 miliardi) della penale prevista nel contratto attuale in caso di revoca della concessione sia l’effettivo piano di remunerazione degli investimenti che sarà messo sul piatto dai nuovi azionisti pubblici. Non basta. Nella società dovrebbero confermare la loro presenza sia i cinesi di Silk Road Fund sia i tedeschi di Allianz. Attualmente posseggono una quota complessiva del 12% di Aspi ma, per non diluirla, dovranno tirare fuori nuovi fondi (fra i 200 e i 300 milioni) e sottoscrivere almeno una parte dell’aumento di capitale.

Nell’operazione potrebbero entrare alcune casse previdenziali mentre, al momento, Unipol e Generali si sono chiamati fuori. Di fondamentale importanza, nella terza fase, dopo lo scorporo di Aspi da Atlantia, sarà la scelta del partner industriale che dovrà affiancare Cdp. Ieri il fondo australiano Maquarie ha confermato il proprio interesse all’operazione e potrebbe portare in dote, oltre a denaro cash, anche la sua esperienza in materia di gestione di infrastrutture autostradali. Ma in pista ci sarebbero anche gli americani, con il potente fondo Blackstone. Saranno, invece, tutti a carico di Aspi i 3,4 miliardi di misure compensative per il crollo del Ponte Morandi, comprese le spese per la costruzione dell’infrastruttura.