Addio all’indio senza nome, solo da 27 anni

Riccardo

Jannello

È morto solo, come solo viveva dal 1995 quando vide sterminare i suoi ultimi compagni da chi voleva fare di quel pezzo di foresta amazzonica nello Stato brasiliano di Rondonia una miniera a cielo aperto. Non aveva nome e neppure la sua tribù l’ha mai avuto, una di quelle "incontattate" che popolano ancora l’enorme polmone verde della Terra. L’Indio Tanaru – dal fiume che scorre nella regione – o Indio do Buraco, per la sua abitudine di scavare delle buche dove si riparava, era stato individuato la prima volta nel 1996 e da allora monitorato dalla Fondazione per gli Indigeni. Due anni fa lo avevano filmato, l’altro giorno l’hanno invece trovato privo di sensi sul proprio pagliericcio, fuori da una delle capanne che usava per dormire durante le battute di caccia. Aveva forse 60 anni, indossava ornamenti rituali: si è accorto che la morte stava sopraggiungendo e ha voluto attenderla con i suoi dei. Un evento naturale, lo stesso non possono dirlo i parenti di un poliziotto, Roberto Moreira da Silva Filho, 35 anni, che nel Mato Grosso, 800 chilometri a sud ovest, combatteva i mercanti di legname: lui l’hanno ucciso a fucilate.

Due morti opposte nello stesso immenso continente verde dove 199 tribù resistono fiere delle loro radici. Sebastiao Salgado conosce bene l’Amazzonia, l’ha fotografata e la chiama "il Paradiso". Dice: "Gli indios non sono né più furbi né più tonti di noi. Sono curiosi e molto consapevoli e vogliono difendere le loro terre". Ma indigeni e gringos proprio non si pigliano, non riescono a lavorare assieme e i secondi non sanno rispettare chi in quei luoghi ha sempre vissuto. L’Indio del Buco ha preferito ventisette anni di libera solitudine a qualsiasi contatto. Non sarà l’ultimo senza nome, ma che la morte lo abbia raggiunto per un qualche male e non per i colpi di fucile di narcos o garimpeiros è in fondo una bella notizia che ridà all’Amazzonia quella magica poesia che l’uomo bianco non sopporta.