Addio a Formentini, sindaco della svolta Con lui Bossi espugnò la Milano socialista

Morto a 90 anni uno dei simboli della Lega delle origini. Dal 1993 al 1997 guidò il capoluogo lombardo nel post Tangentopoli

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di Massimiliano Mingoia

È stato uno degli uomini-simbolo della Lega delle origini, quella dei ’barbari padani’ alla conquista di ’Roma ladrona’. Marco Formentini, morto ieri all’età di 90 anni dopo una lunga malattia, è stato il primo e unico sindaco del Carroccio a Milano. Era il giugno del 1993, il capoluogo lombardo stava vivendo uno dei periodi più bui della sua storia: l’inchiesta di Mani Pulite aveva scoperchiato la corruzione e Milano, da Capitale morale d’Italia, era indicata come Tangentopoli, la città delle tangenti. L’elezione di Formentini a Palazzo Marino era sembrata una ventata di novità e di rinnovamento per la politica italiana. A quelle elezioni comunali meneghine, la Lega aveva toccato la percentuale record del 40,9% e il candidato sindaco lumbard aveva battuto il rivale progressista Nando Dalla Chiesa al ballottaggio con uno scarto netto: 57,1 contro 42,9%. "Mi sento come Pancho Villa", le prime parole attribuite, tra realtà e leggenda, al neosindaco in versione rivoluzionario.

Un momento magico per la Lega di Umberto Bossi. Ma non durò molto, perché alle elezioni politiche del 1994 la neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi sottrasse buona parte dei consensi ai leghisti. Formentini, comunque, resta una delle figure di riferimento dell’inarrestabile crescita del Carroccio all’inizio degli anni Novanta. Nato a La Spezia il 14 aprile 1930, vedetta partigiana giovanissimo nel 1944, si diploma al liceo classico e si laurea in Giurisprudenza a Pisa con 110 e lode. Viene assunto dalla Comunità economica del carbone dell’acciaio (Ceca). Lavora “in Europa’’ per 13 anni, fa carriera da burocrate, ma nel 1970, quando nascono le Regioni, va a lavorare per la Regione Lombardia, segretario della Giunta presieduta da Piero Bassetti. In quegli anni Formentini è iscritto al Psi, legge i saggi dell’economista John Kenneth Galbraith, però non rinnega la passione per il liberale Adam Smith. Nel 1975 lascia il Pirellone e ricomincia dal settore privato, prima all’Assider, poi all’Isa.

Abbandona i socialisti, perché non simpatizza per Bettino Craxi, e si disinteressa per più di un decennio dell’attività politica. Fino all’incontro fatale con Bossi nel 1990. Il segretario della Lega invita Formentini a un incontro dopo aver letto un libro scritto dall’allora manager: Saggio sulla questione italiana. Democrazia occidentale o Paese del Terzo Mondo?. È un colpo di fulmine. "Andai a quel colloquio politicamente depresso, ne uscii vedendo la luce in fondo al tunnel", ha raccontato Formentini qualche anno dopo.

La sua ascesa è fulminea: nella primavera del 1990 si iscrive al Carroccio, alle Politiche del 1992 viene eletto deputato e il Senatùr lo sceglie come capogruppo alla Camera. Sono gli anni del cappio in Parlamento sventolato dal lumbard Luca Leoni Orsenigo. Formentini, di temperamento moderato, si cala nel ruolo di leghista duro e puro e non si tira indietro quando Bossi gli propone la candidatura a sindaco di Milano. Il suo operato a Palazzo Marino procede tra alti e bassi, perde quasi subito la maggioranza in Consiglio comunale, ma punta sul centro storico pedonale, fa sgomberare il centro sociale Leoncavallo e lascia briglia sciolta all’assessore alla Cultura, il critico d’arte Philippe Daverio, morto lo scorso settembre.

Nel 1997, con la Lega ormai indipendentista e non più alleata di FI, Formentini si ricandida però non raggiunge neanche il ballottaggio. Gli anni d’oro del Carroccio a Milano sono ormai alle spalle. Già eurodeputato dal 1994, nel 1999 viene rieletto ma subito dopo lascia la Lega in polemica con la svolta secessionista del Senatùr e la rottura con Berlusconi. Nel 2004 si ripresenta alle Europee con l’Ulivo. Non viene eletto, poi aderisce alla Margherita e nel 2007 sostiene Rosy Bindi alle primarie del Pd. Nel 2008 sceglie la Democrazia cristiana per le autonomie di Gianfranco Rotondi, prima di lasciare definitivamente la politica attiva.