Roma, 17 novembre 2023 – Continua l’operazione trasparenza dei vescovi italiani sui casi di pedofilia commessi all’interno della Chiesa cattolica. Ma per l’associazione delle vittime lo sforzo è ancora insufficiente. Dopo aver snocciolato un anno fa i dati sulle denunce trasmesse al Dicastero per la dottrina della fede – 613 i fascicoli aperti dall’Ex Sant’Uffizio nell’ultimo ventennio sulla base delle indagini preliminari svolte dalle diocesi – ieri, a conclusione dell’assemblea generale straordinaria di Assisi, l’episcopato ha reso noti gli episodi di pedofilia raccolti nel 2022 dagli sportelli della Rete territoriale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili.
Trentadue i casi registrati, altrettanti gli abusatori (tutti uomini ad eccezione di una donna: un terzo preti, un terzo religiosi e il restante laici impegnati nella catechesi e nella pastorale). Cinquantaquattro, invece, le vittime (44 femmine e dieci maschi), tra queste anche due piccoli sotto i quattro anni, anche se la fascia più colpita è quella tra i 15 e i 18 anni. La metà delle violenze sarebbe avvenuta in parrocchia, le altre durante campi estivi o ritiri. Per lo più al nord o al centro, con appena tre episodi denunciati al sud. Quanto al momento della realizzazione dell’abuso, si tratta in prevalenza di casi relativi al passato (56,8%). Nello specifico, gli atti di pedofilia si sostanziano in rapporti sessuali veri e propri, toccamenti, comportamenti e linguaggi inappropriati.
Interpellato sul perché il report presenti per la maggior parte vicende relative anche a decenni fa, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha chiarito che “la prescrizione nella Chiesa non c’è”. Da qui la possibilità per chiunque di essere ascoltati dagli sportelli anti-pedofilia attivi nelle varie diocesi. “Facciamo sempre un procedimento interno – ha continuato l’arcivescovo di Bologna -. In molti casi non c’è il rimando al penale per la scadenza dei termini. Ma per noi no. Ci sono casi di persone che denunciano solo all’autorità ecclesiastica e non hanno alcuna intenzione di denunciare alle autorità civili, mentre la nostra richiesta è di rivolgersi anche alle autorità civili”.
Il messaggio dei vescovi è forte è chiaro: nessun insabbiamento. Anche perché, alla luce della stretta impressa da papa Francesco sull’accountability, oggi “è difficile che oggi un vescovo insabbi, anzi è quasi più pericolosa una valutazione non oggettiva”, è la tesi di Zuppi. Col risultato che “per prudenza si avviino procedimenti giuridici anche soltanto per verificare i fatti“.
Intrapresa con la gestione Zuppi, l’operazione trasparenza della Cei ha liquidato decenni di tentennamenti, omissioni e segreti che hanno finito per pregiudicare la credibilità della Chiesa in Italia. Il cambio di passo rispetto al passato non è più solo nelle intenzioni, anche se restano prudenze – a partire dalla contestata scelta dei vescovi di non avvalersi di strutture indipendenti per la stesura dei report – e resistenze, come dimostrano le 40 diocesi su 226 che ancora non si sono dotate di uno sportello anti-pedofilia. Di diocesi ’reticenti’ parla la Rete L’Abuso, che raccoglie le vittime di abusi del clero. “La Cei non fornisce alcun dato su fatti e luoghi delle violenze _ attacca l’associazione ai ferri corti con Zuppi dopo un iniziale avvicinamento -. Di conseguenza queste non sono verificabili”.
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