di Giovanni Rossi Cinque miliardi di euro (tre in conto vendita e due per investimenti). Roman Arkadievic Abramovich, l’oligarca un tempo più vicino al Cremlino, saluta il Chelsea (venduto venerdì notte a cifra record) bussando al purgatorio degli aspiranti alla redenzione. La cessione coatta dei Blues in conseguenza delle sanzioni – al consorzio statunitense guidato da Todd Boehly, già comproprietario dei Los Angeles Dodgers di baseball – chiude un’epoca sportiva e finanziaria per impostare un percorso di nuova rispettabilità sociale a suon di azioni caritatevoli. Messo alle strette dal sequestro del club operato dal governo di Boris Johnson, il 55enne nato povero a Saratov (il maggior porto sul Volga), cresciuto da nonni e zii per la prematura morte dei genitori, e poi diventato straricco all’epoca delle privatizzazioni post sovietiche, ha buon gioco a confermare la promessa fatta in marzo: gli attivi della cessione, circa 3 miliardi di euro, andranno in beneficenza "a tutte le vittime del conflitto in Ucraina". Un inizio che necessita di uno svolgimento all’altezza. Al termine della complessa vendita ora sottoposta alla scontata ratifica del governo, l’opinione pubblica attende di capire chi saranno gli effettivi destinatari delle somme. Nella tragica contabilità del conflitto, la locuzione "tutte le vittime" è infatti applicabile senza barriere di nazionalità. La declaratoria mediatica del protagonista – per "bisogni immediati e urgenti" delle vittime e per "attività di supporto a lungo termine" nelle zone di guerra – sottintende, come logico, un impegno prioritario a favore dell’Ucraina (paese di origine del ramo materno) senza tuttavia escludere anche aiuti ai familiari dei deceduti russi. Nessuno scandalo neppure sul piano etico. Anzi, sarebbe ingenuo sorprendersi per questo equilibrismo in autotutela. L’antica sintonia tra l’oligarca e Vladimir Putin appare da tempo fuori registro. E l’ex patron del Chelsea (con passaporto russo, israeliano, portoghese e lituano) sa che ogni ...
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