Sabato 20 Aprile 2024

Abramovich vende il Chelsea "Il ricavato per aiutare gli ucraini"

L’oligarca costretto dalle sanzioni a cedere la società calcistica londinese sottoposta a sequestro. Il club passa a un consorzio Usa guidato dal patron dei Dodgers per 5 miliardi di euro: un affare da record

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di Giovanni Rossi

Cinque miliardi di euro (tre in conto vendita e due per investimenti). Roman Arkadievic Abramovich, l’oligarca un tempo più vicino al Cremlino, saluta il Chelsea (venduto venerdì notte a cifra record) bussando al purgatorio degli aspiranti alla redenzione. La cessione coatta dei Blues in conseguenza delle sanzioni – al consorzio statunitense guidato da Todd Boehly, già comproprietario dei Los Angeles Dodgers di baseball – chiude un’epoca sportiva e finanziaria per impostare un percorso di nuova rispettabilità sociale a suon di azioni caritatevoli. Messo alle strette dal sequestro del club operato dal governo di Boris Johnson, il 55enne nato povero a Saratov (il maggior porto sul Volga), cresciuto da nonni e zii per la prematura morte dei genitori, e poi diventato straricco all’epoca delle privatizzazioni post sovietiche, ha buon gioco a confermare la promessa fatta in marzo: gli attivi della cessione, circa 3 miliardi di euro, andranno in beneficenza "a tutte le vittime del conflitto in Ucraina". Un inizio che necessita di uno svolgimento all’altezza. Al termine della complessa vendita ora sottoposta alla scontata ratifica del governo, l’opinione pubblica attende di capire chi saranno gli effettivi destinatari delle somme. Nella tragica contabilità del conflitto, la locuzione "tutte le vittime" è infatti applicabile senza barriere di nazionalità.

La declaratoria mediatica del protagonista – per "bisogni immediati e urgenti" delle vittime e per "attività di supporto a lungo termine" nelle zone di guerra – sottintende, come logico, un impegno prioritario a favore dell’Ucraina (paese di origine del ramo materno) senza tuttavia escludere anche aiuti ai familiari dei deceduti russi. Nessuno scandalo neppure sul piano etico. Anzi, sarebbe ingenuo sorprendersi per questo equilibrismo in autotutela. L’antica sintonia tra l’oligarca e Vladimir Putin appare da tempo fuori registro. E l’ex patron del Chelsea (con passaporto russo, israeliano, portoghese e lituano) sa che ogni mossa ben calcolata aggiunge vita a un’esistenza sul filo: la presenza ai colloqui di pace in Bielorussia e in Turchia nelle vesti di osservatore-facilitatore con l’approvazione della comunità ebraica ucraina; la notizia dell’avvelenamento light nel round di inizio marzo, forse un ’avviso’ di Mosca ovviamente smentito; la sgraziata deroga dalla tagliola sanzionatoria invocata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky; la stessa fama di miliardario "umano", sono tutte tessere dello stesso mosaico. In cui Abramovich non è più, almeno a livello d’immagine, il fedelissimo del Cremlino, ma non è ancora quel profilo alternativo e ripulito dopo la recita multiruolo per Putin in economia e in politica: dal 2001 al 2008 persino da governatore della Chukotka – tundra, renne e slitte dell’Estremo oriente russo.

La cessione dei Blues con ricavato in beneficenza massimizza il risultato ’sportivo’ purificando la leva della sanzione. Dopo vent’anni di ingaggi clamorosi e successi planetari, compresi due Champions League, cinque Premier League, due Europa League, due Fa Cup e da ultimo il Mondiale per club, il Chelsea si conferma scelta vincente: prima nel costruire il mito del più occidentale tra gli oligarchi di Londongrad, ora nel determinare l’apertura di una nuova fase narrativa funzionale a un cambio di orizzonte.

Lo stesso prezzo da primato strappato ai compratori nell’asta gestita dal governo conferma la qualità complessiva dell’operazione. Di fronte ai 5 miliardi messi sul piatto dal consorzio statunitense scolorano tutti i più autorevoli precedenti in materia: dai 2,11 miliardi pagati nell’agosto del 2019 dal magnate taiwanese Joseph Tsai, il co-fondatore Alibaba, per acquisire il pieno controllo dei Brooklyn Nets della Nba, ai 2,4 miliardi sborsati del businessman Steven Cohen per l’acquisto di mazze e guantoni dei New York Mets. La svolta decisiva quando Abramovich sgombra l’ultimo macigno dal prato di Stamford Bridge: non intende richiedere alla nuova proprietà gli 1,8 miliardi di euro prestati personalmente al club in questi 20 anni. Il Chelsea? Più di uno strumento. "Un privilegio che resterà per sempre nel mio cuore". Di oligarca in riformattazione.