di Guido Bandera e Marco Galvani Deve averci creduto davvero. L’idea di aver recuperato il tocco magico che lo faceva vincere sempre deve essere realmente balenata davanti agli occhi di Silvio Berlusconi, alle soglie delle ottantasei primavere. L’ospedale, "gli anni in cui mi hanno tenuto lontano dalla politica", anche il passo meno sicuro e il sorriso meno smagliante gli erano forse apparsi solo nuvole passeggere in un cielo che tornava di un azzurro Forza Italia. E invece Monza, la città che lui ha innalzato agli altari della Serie A calcistica per la prima volta nella storia, lo ha tradito, gettando nella polvere il sindaco uscente, Dario Allevi, uomo del suo stesso partito, che al primo turno aveva sette punti di vantaggio. A vincere è stato il Pd, non quello delle barricate, ma quello di un professore di religione dello storico liceo classico Zucchi, la scuola dell’élite cittadina: mai uno sbuffo di polemica in tutta la campagna. Un migliaio di voti in più, presi anche dalle urne semivuote del centro storico, hanno mandato in frantumi il sogno della riscossa berlusconiana. Gli avevano promesso che avrebbero vinto ai supplementari come i biancorossi a Pisa nel match decisivo per lasciare la Serie B. E invece nulla: la maledizione del secondo mandato, che qui ha impedito ai sindaci di essere confermati da quando esiste l’elezione diretta, ha colpito ancora. "Monza? Lasciamo perdere", il telegrafico commento dell’ex premier dopo la sconfitta elettorale. La città, a due passi da Arcore e dalla sua villa, dove Forza Italia – in controtendenza – è diventata il primo partito della coalizione e dove dal 12 giugno si sono persi 3.446 voti, invece gli è sfuggita. Il sospetto: per gli elettori di centrodestra meglio la gita al lago o a Santa Margherita Ligure. L’affluenza è andata a picco arrivando al 36,82%, 10 ...
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