Martedì 23 Aprile 2024

A Bucha la mano del diavolo

Roberto

Giardina

 Bucha ho visto il diavolo", dice Zelensky tornato un anno dopo nella cittadina diventata il simbolo della resistenza ucraina. In quella che era apparsa come un’operazione lampo, all’inizio dell’offensiva, i russi conquistarono Bucha, 35mila abitanti, a 26 chilometri da Kiev. Putin si illuse e gli aggrediti ebbero paura che la capitale stesse per cadere, questioni di giorni, di ore, Zelensky in fuga, tutto finito. Dopo 33 giorni, gli ucraini riconquistarono Bucha e scoprirono l´orrore. Zelensky enumera le cifre, 1.400 morti, tra cui 33 bambini, 135 cadaveri in una fossa comune. E noi tutti fummo costretti a capire che si tornava a un passato che pensavamo non si potesse ripetere. Per la prima volta sentimmo la nuova guerra, che è diverso da vederla.

Ricordo lo choc che provai quando vidi da bambino i primi filmati della guerra in Corea, nel settimanale Luce che veniva proiettato al cinema, la guerra prima dei cartoni animati. Ma sono trascorsi 70 anni, siamo anestetizzati da un’overdose di video che giungono ogni giorno in casa, alla tv, sui cellulari. La realtà ripetuta perde la sua forza, può apparire come un videogioco. Siamo diventati immuni e non ce ne rendiamo conto. Non una colpa, non insensibilità, è una umana forma di difesa.

A Bucha, nelle foto, nelle riprese dei corpi esumati dalle tombe senza nome, ci siamo confrontati con quello che resta dopo la battaglia. Non sono sequenze spettacolari, bombe, missili, panzer in azione. Vediamo i corpi, non solo soldati, civili, donne, bambini. Una fossa comune non è sempre un crimine di guerra, le vittime vanno sepolte in fretta. Dipende da come sono morti, esseri umani torturati, prigionieri passati per le armi. Il diavolo di Bucha è umano, è come noi.