Giovedì 18 Aprile 2024

"A 13 anni feci impazzire Modugno Il mio sogno? Ballerino di tip tap"

Il cantante torna a Sanremo e ritrova Morandi: "Con lui e Al Bano dovevamo fare un trio, poi saltò tutto" "Da piccolo urlai nelle orecchie a Mimmo: Tu si’ ’na cosa grande. E lui mi disse che avevo una bella voce"

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di Andrea

Spinelli

"Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore" scrive Massimo Ranieri nella sua recente autobiografia Tutti i sogni ancora in volo, citando il Dostoevskij de Il sogno di un uomo ridicolo. E a quel desiderio, a quel cuore, lui è ricorso per dire di sì alla chiamata del Festival di Sanremo con Lettera al di là del mare, quando s’è reso conto che le lancette del tempo avevano iniziato ad andare più veloci dei timori di tornare sul palco.

Perché ha aspettato 25 anni per tornare al Festival?

"Perché non trovavo la canzone giusta. Due anni fa ci ho fatto un pensierino con Mia ragione, poi mi sono reso conto di averla eseguita pubblicamente togliendole il requisito previsto dal regolamento: essere inedita. Così mi sono limitato a cantarla da ospite e a duettare Perdere l’amore con Tiziano Ferro".

Stavolta invece…

"Come ho sentito questa canzone di Fabio Ilacqua mi sono detto: eccola qua".

Di cosa parla Lettera al di là del mare?

"Di emigrazione. Una canzone molto umana. Mi ha dato la stessa emozione di quando ho ascoltato per la prima volta ‘Perdere l’amore. Qualcosa di irrazionale, difficile da spiegare".

Sfida d’altri tempi quella con Morandi, in gara pure lui.

"Già, sembra di essere tornati a Canzonissima, quando lui vinceva con Scende la pioggia e l’anno successivo gli restituivo la pariglia vincendo io con Vent’anni. E poi ancora nel ’73 con Erba di casa mia. Ci chiamavano i Rivera e Mazzola della canzone… dopo cinquant’anni si riforma la coppia".

C’è stato un momento in cui ha pensato addirittura di fare ditta con lui e con Al Bano.

"L’idea di mettere in piedi un trio l’ha avuta Al Bano e quando me l’ha proposta gli ho risposto ‘magari…’, invitandolo però a chiederlo lui al ‘bolognese’. Già perché, da sempre, noi tre non ci chiamiamo per nome ma soltanto ‘il bolognese’, ‘il pugliese’ e ‘il napoletano’. Il progetto però s’è arenato perché Gianni al momento aveva una lista d’impegni lunga così e non se la sentiva di accollarsene altri. Ho detto però ad Al Bano che, qualora riesca a convincere Gianni, io ci sono".

Ha già deciso la cover da presentare all’Ariston?

"No. Potrei pescare nei repertori di autori a me cari come quelli di Aznavour, De André, Battiato, Pino Daniele, ma al momento sto pensando solo all’arrangiamento e alla tonalità in cui cantare Lettera al di là del mare con l’orchestra. La scelta della cover verrà poi. I miei Sanremo non erano quelli di oggi. Oggi al Festival sei preso da mille cose e io non ho più 50 anni, ne ho 70. Comincio a sentire un filino il peso dell’età. Mi è consentito?".

Finito Sanremo volerà a Parigi da Gino Vannelli, il cantante canadese produttore del suo prossimo album.

"Sto ancora scegliendo le canzoni. Nel cassetto ho un inedito di Ivano Fossati, uno di Mauro Pagani, uno di Pacifico, oltre a quelli di giovani autori che sto selezionando".

A proposito di Fossati, c’è qualcosa che non riesce proprio a comprendere di questo "tempo sbandato"?

"Nel massimo rispetto di tutti, mi sembra incomprensibile tutta questa diffidenza verso i vaccini. Viviamo un momento devastante e pure questo m’ha messo addosso la voglia di raccontarmi in un libro".

Perché, quindici anni dopo, ha sentito il bisogno di scrivere un’altra autobiografia?

"Perché sono successe tante cose e ho sentito il bisogno di raccontarle al mio pubblico. Ci ho messo tutte le emozioni, le delusioni, le amarezze, i dispiaceri, ma soprattutto le gioie che la vita m’ha dato".

Nel mondo della canzone, quali sono stati i suoi santi patroni?

"Due su tutti: Celentano e Modugno. Adriano a Sanremo con 24 Mila baci fece qualcosa di sensazionale. Sul palcoscenico più istituzionale d’Italia, dando le spalle al pubblico, ruppe ogni barriera, ogni convenzione sociale e politica. Mimmo invece mi prese sotto la sua ala protettrice. Da ragazzo l’ascoltavo domandandomi “chistu nun è napulitano, però canta bbene o napulitano, ma comm fa?“. Quando nel ’64, al Politeama, Modugno vinse il Festival di Napoli con Tu si ‘na cosa grande, io c’ero. Ricordo che, prima della serata, m’intrufolai in sala mentre la Vanoni stava provando la sua versione di quel pezzo e, seduto dietro le sue spalle, iniziai a sussurrargli nelle orecchie “tu si’ ‘na cosa grande pe’ mme, ‘na cosa ca me fa nnammura…“ finché lui, spazientito, si voltò sbottando: “Ragazzino, l’ho capito che canti bene, però ora basta“".

Per non farsi mancare niente, nel 2022 ha pure due film in uscita.

"Già. Uno s’intitola L’uomo che disegnò Dio ed è diretto da Franco Nero, un vecchio gentiluomo di cui s’è perso lo stampo, bravissimo pure nei panni di regista. L’altro invece è Mancino naturale di Salvatore Allocca, giovane regista di sicuro futuro".

Con questi, la sua filmografia raggiunge i 37 titoli. C’è una pellicola che non rifarebbe?

"No perché, si tratti di Metello o de La patata bollente, nel momento in cui li ho girati ci credevo. Nella mia vita non ho mai fatto qualcosa tanto per fare".

Intanto Sorrentino corre verso la nomination all’Oscar con È stata la mano di Dio.

"Da napoletano e da italiano gli auguro di allungare il momento favorevole che da un anno e mezzo ci vede vincere tutto. L’Oscar sarebbe un’altra medaglia d’oro che il Paese si merita per come s’è comportato e si sta comportando in questo anno stramaledetto. E poi perché racconta la ‘nostra’ Napoli, quella della passione, del calcio, di Diego…".

A proposito. E Maradona?

"Col suo stile lapidario, Carmelo Bene diceva: il calcio sono quei venti minuti che lui tocca palla e poi… il silenzio. Aveva ragione. Spettacolo incommensurabile".

Rimpianti?

"La delusione più cocente è stata forse quella di veder naufragare il progetto di un album di “neapolitan songs” assieme a Leonard Bernstein. Ci conoscemmo ad una festa in casa di Zeffirelli sulla via Appia e fu proprio Franco a suggerirgli l’idea di realizzare un disco di canzoni napoletane cantate da me. Rispose, “good idea, I love neapolitan songs“".

Poi cosa accadde?

"Telefonai, trionfante, alla mia etichetta pensando che i discografici al nome dell’autore di West Side Story sarebbero saltati sulla sedia. E, invece, mi risposero “no, dai… chi lo conosce“. Così va la vita, c’aggia fà?".

La vita le ha dato tanto, ma s’è presa pure molto. Alla fine, pari e patta?

"No. Sarò sempre in debito nei confronti della vita, perché forse mi ha dato più di quanto meritassi. E ancora oggi riesce a divertirmi, ad incuriosirmi, a sorprendermi".

E se dovesse rinascere?

"Farei il ballerino di tip tap. In omaggio a Fred Astaire, idolo assoluto della mia gioventù".