di Stefano Lolli

FERRARA
PIÙ CHE l’ossatura di un teatro fra i più moderni d’Europa, oggi sembra l’arena per i match sanguinolenti di ultimate fighting. Più che il sogno cullato e ora lasciato in eredità da Claudio Abbado, per tanti ferraresi è una sorta di incubo. Un rebus urbanistico ed economico inestricabile. Il progetto di recupero del Teatro Verdi ha preso corpo nel 1992; il grande direttore d’orchestra, scomparso la scorsa settimana, all’epoca imperava a Ferrara anche grazie al munifico sodalizio con il Comune. L’idea era quella di recuperare lo storico Teatro Verdi, abbandonato ormai da quasi trent’anni: tra le ultime recite in cartellone non c’erano né il Barbiere di Siviglia né il Fidelio, ma il meno pudico Cabaret Strip Tease con Bardot Brigitte Saint John. Ma ad Abbado bastò levare la bacchetta in aria per convincere, forse con doti più da prestigiatore che da musicista, l’allora sindaco Roberto Soffritti a correre dai privati, proprietari del teatro, e acquistarlo a prezzo non proprio di rudere. Ecco spuntare il progetto, affidato (non senza qualche sogghigno in città) ad Alessandro Traldi: collaboratore di Renzo Piano, ma innanzitutto genero di Claudio Abbado. Lo stesso architetto di famiglia, Traldi, che figurerà poi in altri maxi progetti di auditorium a Milano e Bologna.


IL TEATRO Verdi, dunque, era il prototipo. E come ha ricordato proprio Soffritti nei giorni scorsi, ricordando l’amico musicista, «bastava andare a Roma, fare il nome di Abbado e si aprivano tutte le porte». Anche quella dell’allora ministro dei Beni culturali Walter Veltroni; immaginiamo Soffritti che, nel 1998, mette il capo nel Gabinetto del dicastero, agitando l’atto di proprietà dell’immobile e dicendo con voce baritonale: «Abbado, Abbado». Veltroni batte i tacchi, piovono i finanziamenti: quasi 10 milioni di euro, al valore attuale. Un vero e proprio terno al Lotto, visto che i fondi concessi da Veltroni — con il vincolo che lo stabile fosse recuperato a uso specifico di Casa della Musica — provenivano proprio dal gioco di Stato. Peccato, dice ora qualche malizioso, che Ferrara si sia fermata all’ambo; il terno, ovvero il completamento del teatro, non è mai avvenuto.

L’AMMINISTRAZIONE successiva, guidata da Gaetano Sateriale, si guardò bene di impedire i lavori non ancora iniziati, pur sapendo che non sarebbero mai arrivati a conclusione, e magari restituire i soldi al ministero per opere più concrete. Il cantiere è partito, è stata realizzata un’imponente torre scenica di cemento alta trenta metri, con buona pace dei vincoli architettonici e di rispetto delle vicine Mura estensi. Doveva servire a rivoluzionari cambi di scenografia, di fatto l’unico effetto dell’ecomostro è stato quello di squinternare di crepe i soffitti e i muri delle case vicine; il Comune ha risarcito i residenti, e ha affrontato anche un contenzioso in tribunale con la ditta che nel 2008 ha frettolosamente chiuso la prima, e unica, parte dei lavori.
Finiti i soldi del Lotto, per proseguire l’opera monca inutile chiedere anche un euro dal Gratta e Vinci. Il Teatro Verdi è irrimediabilmente bloccato, con l’unica eccezione delle aperture straordinarie promosse da giovani «creativi»; la riconversione ad altri utilizzi (un garage multipiano, una biblioteca universitaria, una sala convegni), complessa e ovviamente costosissima. Servirebbero, a una stima prudenziale, altri 15 milioni di euro senza considerare poi i costi enormi di gestione.