Roberto Canali

CANTÙ (Como), 8 ottobre 2013 - A GERUSALEMME hanno gettato la spugna più o meno da duemila anni, all’epoca in cui l’imperatore Tito distrusse il secondo tempio e da allora l’unica consolazione per generazioni di ebrei è ricordarne i fasti di fronte al Muro del Pianto. Nella Cantù dei mobilieri abituati a imporre il proprio gusto agli sceicchi sono decisamente più ostinati, ma dopo quarant’anni e due palasport iniziati e mai finiti la pazienza e i soldi stanno per terminare.
Non sono abituati a fare cilecca da queste parti, non si spiegherebbe altrimenti come mai una città di neppure 40mila abitanti sia riuscita a inventarsi una religione chiamata basket, alla quale consacrare una squadra che dal 1936 ha collezionato scudetti e coppe a ripetizione, tanto da diventare la seconda squadra più titolata del Vecchio Continente dopo il Real Madrid. Perché la Regina d’Europa, come viene chiamata con deferenza dalle avversarie, da 40 anni non metta più a segno un canestro a Cantù è tutta un’altra storia, legata all’ambizione di costruire un tempio dello sport degno di cotanto blasone.
LA PRIMA volta ci provarono a metà anni ’80, affidando il progetto a un nume dell’architettura come Vittorio Gregotti. Nacque il Palababele a forma di piramide azteca, edificato e mai inaugurato, per oltre vent’anni monumento allo spreco e al degrado. Costruito grazie ai finanziamenti dei Mondiali di calcio di Italia ’90, il costo del palazzetto lievitò nel giro di un paio d’anni da 10 a 18 miliardi di lire. Toccò ad Armando Selva, primo sindaco leghista della città, l’ingrato compito di bloccare i lavori, quando ormai era praticamente concluso, con tanto di caloriferi e bagni. Diventato terra di nessuno, al suo interno trovarono rifugio senzatetto, sbandati e writers finché nel giugno del 2010 non fu abbattuto, ironia della sorte, da Tiziana Sala, ultimo sindaco del Carroccio. Al suo posto un nuovo e modernissimo impianto da 7mila posti con palestre, polo commerciale, bar, ristoranti e negozi, una piscina al coperto e un multisala con lo schermo più grande d’Italia. Costo stimato: 36 milioni di euro, messi a disposizione da un privato, la Turra Costruzioni di Cazzago San Martino (Brescia), poi lievitati a 50.

SECONDO il progetto originario la città avrebbe dovuto avere un nuovo Palasport entro settembre 2012. Termine poi slittato a luglio 2013 e adesso ulteriormente prorogato a maggio 2014. Dal vecchio Palababele il nuovo Palasport non ha ereditato la forma, ma di sicuro le sfortune.
Prima le difficoltà burocratiche, poi l’abbandono dei partner commerciali, dosi fuori norma di tricloroetilene e tetracloroetilene nella falda sotto la struttura e, dulcis in fundo, il parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che ha ammonito il Comune perché troppo esposto nel progetto. Da luglio i lavori sono fermi, tra impresa e Comune si comunica con raccomandate tra uffici legali. E la presidente della squadra, Anna Cremascoli, ha annunciato che se il Palasport non sarà concluso entro l’estate prossima, cederà i diritti. In città c’è già chi si prepara all’azionariato popolare, come intende fare il sindaco Claudio Bizzozero in un’assemblea pubblica il 10 ottobre.

E PENSARE che nel 1974 per costruire il Pianella, dove la squadra gioca tuttora, bastarono un incontro al bar tra quattro industriali, qualche stretta di mano e 14 mesi di lavori. Altri tempi, altra burocrazia e altre ambizioni. O semplicemente altra città, visto che quel palazzetto di lamiera, nato per essere provvisorio e come molte cose in Italia diventato definitivo, sorge a Cucciago.