ROMA, 5 LUGLIO 2013 - «MI AUGURO che questo diventi il governo del made in Italy», dice il ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, all’assemblea Coldiretti. Forse sarebbe meglio dire: di «quel che resta del made in Italy». Si perché è lo stesso sindacato agricolo che snocciola cifre e dati per raccontare che con l’inizio della crisi si è accelerato lo shopping dei nostri marchi agroalimentari da parte di grandi imprese straniere. Tra gli ultimi eclatanti passaggi di mano ha fatto notizia quello di Parmalat nelle mani francesi di Lactalis. O le bollicine piemontesi di Gancia che sono finite nel bicchiere del magnate russo della vodka Rustam Tariko.
Ma lo shopping era iniziato già da tanti anni. Nel 2006 la Galbani era entrata in orbita Lactalis, ma nello stesso anno gli spagnoli di Sos avevano messo le mani pure sulla Carapelli, dopo aver incamerato anche la Sasso. Nel 2005 la francese Andros aveva acquisito lo yogurt bio delle Fattorie Scaldasole mentre già nel 2003 aveva cambiato bandiera la birra Peroni, passata all’azienda sudafricana SabMiller, e Invernizzi, di proprietà dal 1985 della Kraft e ora finita alla Lactalis. Negli anni Novanta erano state Locatelli e San Pellegrino ad entrare nel gruppo Nestlè, anche se poi la prima era stata «girata» alla solita Lactalis (1998). La stessa Nestlè — conclude la Coldiretti — possedeva già dal 1993 il marchio Antica gelateria del Corso e addirittura dal 1988 la Buitoni e la Perugina. La settimana scorsa la multinazionale del lusso Lvmh si è mangiata la storica pasticceria milanese Cova.


UN IMPRENDITORE di Hong Kong ha messo le mani sulla cantina Casanova La Ripintura, a Greve in Chianti, nel cuore della Docg del Gallo Nero. Il riso Scotti è entrato nell’orbita del colosso spagnolo Ebro Foods; gli spagnoli controllano pure lo storico marchio italiano Star mentre la giapponese Mitsubishi ha messo le mani sul più grande produttore di pelati del nostro Sud. La lista prosegue col pastificio abruzzese Del Verde finito in orbita ispano-argentina mentre i salumi Rigamonti sono dei brasiliani; l’Orzo Bimbo appartiene alla multinazionale Novartis e pure la modenese Italpizza non ha resistito al fascino degli inglesi di Bakkavor. Insomma nel mondo c’è fame di made in Italy ma il nostro food batte sempre più bandiera straniera. «I grandi gruppi multinazionali della chimica e della meccanica che fuggono dall’Italia — dice il presidente Coldiretti, Sergio Marini — investono invece nel nostro agroalimentare che fa segnare il record nelle esportazioni».


di Lorenzo Frassoldati