PALERMO, 3 settembre 2012  - Sul muro ancora sporco di sangue, qualcuno lasciò un lenzuolo con scritto “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Oggi che sono passati trent’anni esatti da quel 3 settembre 1982, il ricordo del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, freddato a colpi di kalashnikov insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, è più vivo che mai nella memoria collettiva dei siciliani, soprattutto di quelli che hanno creduto che quella sera la speranza non finì, ma trovò con quel sacrificio un ulteriore slancio per credere ancora che fosse possibile un cambiamento a favore della legalità.

Reduce dalla brillante opera di contrasto alle Brigate Rosse, il Generale dalla Chiesa fu nominato prefetto di Palermo nella tarda primavera del 1982, con la promessa di poter esercitare poteri speciali per contrastare Cosa nostra, che in quel periodo stava vivendo una delle fasi più sanguinarie della sua storia, con decine di omicidi. In realtà il prefetto intuì subito di avere le mani legate, e soprattutto le difficoltà di affrontare una realtà come quella palermitana, privo del sostegno da parte dello Stato.

Nonostante ciò, Dalla Chiesa riuscì a portare a termine brillanti operazioni che portarono all’arresto di numerosi boss, allo smantellamento di una raffineria di eroina; nonché alla stesura di una vera e propria “mappa della nuova mafia” con particolare attenzione ai rapporti che legavano Cosa nostra e politica.

Una “missione”, quella del Generale venuto dal Nord e che già negli anni ‘50 aveva lavorato in Sicilia, a Corleone, che fu interrotta alle 21.15 del 3 settembre 1982. Cento giorni dopo il suo arrivo. Poche centinaia di metri dopo essere usciti dalla Prefettura di Palermo, la A112 bianca sulla quale viaggiavano dalla Chiesa e la moglie fu affiancata da un commando a bordo di un’auto e una moto. Le raffiche di Kalashnikov non lasciarono scampo ai due, così come accadde per l’agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del prefetto.

Per l’omicidio del Generale dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta, sono stati condannati all’ergastolo come mandanti i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci; mentre esecutori materiali, in primo grado, sono stati condannati Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.

Come sarebbe accaduto 10 anni dopo in occasione dei funerali di Giovanni Falcone, anche le esequie di dalla Chiesa, tenutesi nella stessa chiesa di San Domenico, videro la partecipazione di migliaia di persone che attaccarono duramente le presenze politiche accusate di aver lasciato solo il prefetto. Vi furono attimi di tensione, con le autorità oggetto di lanci di monetine e insulti. Unico ad essere risparmiato dalla contestazione fu il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Dell’omelia del cardinale Pappalardo sono rimaste nella memoria dei palermitani le parole tratte da un passo di Tito Livio: “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo”.