Ferrara, 31 marzo 2011 - Il pericolo di una catastrofe nucleare in Giappone e la crisi libica costringono tutte le città a interrogarsi sulla loro vulnerabilità di fronte a una crisi energetica. Cosa succederebbe alle città italiane in caso di crisi energetica, di crisi petrolifera?

Come farebbero i cittadini a sopravvivere davanti a una situazione stile austerity 1973? A parità di condizioni economiche e a parità di approvvigionamento energetico è, infatti, evidente che le città si comportano differentemente a seconda della loro dispersione. 

Più le città sono disperse più aumenta la loro vulnerabilità di fronte a una crisi energetica. In particolare petrolifera. I risultati della ricerca condotta dal Laboratorio CivicArch dell'Università di Ferrara dimostrano che il rischio è serio e occorre una nuova politica urbanistica per le città italiane. Meglio: una nuova Bio-Urbanistica. Un'urbanistica più vicina ai principi di eco-sostenibilità e di sviluppo organico.

Le città italiane più vulnerabili in caso di catastrofe e di conseguente crisi energetica sarebbero, nell'ordine: Bologna, Modena, Padova, Verona, Reggio Emilia, Forlì, Brescia, Latina, Udine e Prato.

Le più sicure, invece, sono: Parigi, Bilbao, Edinburgo, Madrid, Nizza, Monaco di Baviera, Torino, Copenhagen, San Sebastian, Zurigo.  

Come ha affermato il prof. Gabriele Tagliaventi, direttore di CivicArch: “il problema della vulnerabilità al petrolio delle città italiane è un tema che interessa sia in chiave economica sia in chiave ambientale.”

La ricerca, condotta su un campione di oltre 120 città europee mostra un quadro allarmante anche per molte città italiane. Mentre le grandi città sembrano reggere meglio la sfida, quelle veramente in difficoltà sono le città medie e quelle piccole.

L'avere adottato nel corso degli ultimi 50 anni un modello di crescita basato sulla dispersione, la bassa densità e l'autocentrismo ha portato le città italiane a una situazione prossima alla bancarotta: non ci sono più soldi per l'ordinaria amministrazione. Troppe sono le spese legate alla gestione di un territorio urbanizzato poco popolato e troppo esteso.

Quanto incide sul deficit nazionale la dispersione dei comuni? Uno degli esempi più eclatanti è quello di Bologna. Il capoluogo emiliano conta 379.000 abitanti su una superficie urbanizzata di circa 9.000 ettari. Sulla stessa superficie urbanizzata a Torino vivono 900.000 abitanti con università, musei e la sede della FIAT. Sulla stessa superficie, addirittura, a Parigi vivono 2.150.000 abitanti, con musei, 20 università, 7 stazioni ferroviarie. 14 linee di metropolitana.

Confrontando Bologna con comuni di analoghe dimensioni demografiche: Bilbao, Palma di Maiorca, Nizza, risulta che la stessa popolazione di Bologna vive a Bilbao su una superficie urbanizzata di soli 2.000 ettari, a Palma di Maiorca su 7.500 ettari, a Nizza su meno di 5.000 ettari (incluse le seconde case e gli hotels che pesano più del 25% del totale).

Tutte le città della Pianura Padana sono in una simile condizione di vulnerabilità. Modena ha 180.000 abitanti su una superficie urbanizzata di 4.000 ettari, mentre San Sebastian ha la stessa popolazione ma su soli 1.800 ettari. Verona ha una popolazione di 265.000 abitanti su una superficie urbanizzata di circa 14.000 ettari, mentre Gijon ha 275.000 abitanti su una superficie urbanizzata di soli 6.500 ettari. Padova ha una popolazione di 212.000 abitanti su una superficie urbanizzata di 4.000 ettari mentre la stessa popolazione a Oviedo è insediata su soli 970 ettari.

E' evidente che questa situazione rende le città italiane medie e medio-piccole particolarmente vulnerabili di fronte a una possibile crisi energetica. Sono troppo estese e la popolazione non riuscirebbe a spostarsi a piedi o utilizzando il sistema di trasporto pubblico.

Le città italiane sono estremamente carenti di reti efficienti di trasporto pubblico. La loro dispersione sul territorio, infatti, rende estremamente costosa la realizzazione di sistemi efficienti di tramvia e metropolitana.

Meglio si comportano le grandi città: Torino, Milano, Roma presentano valori di compattezza decisamente migliori di quelli delle città medio-piccole. Una più forte rete del commercio di prossimità e un sistema di trasporto pubblico più integrato anche se sempre carente rispetto alla media delle città europee.

In sintesi: se le cose vanno bene, città più compatte permettono di ottimizzare le spese di gestione e avere più risorse per investimenti produttivi. Se le cose vanno male, città più compatte permettono ai cittadini di andare al lavoro a piedi o utilizzando un mezzo pubblico, di fare la spesa a piedi. Di consumare meno. In altre parole, di sopravvivere alla crisi.