SAN PATRIGNANO compie 30 anni. Nell’estate del 1978 Vincenzo Muccioli (assieme a sua moglie Maria Antonietta Cappelli, sposata 16 anni prima) lasciò l’attività di albergatore, a Rimini, e accolse nella sua casetta di campagna la prima ragazza drogata. Nacque allora la favola di Sanpa, la comunità di recupero per tossicodipendenti oggi più importante d’Europa, che ospita quasi duemila giovani e che in trent’anni ha visto transitare oltre 20mila persone: più di 15mila sono uscite dal tunnel della droga.

A San Patrignano, dal 1978 a oggi, sono successe tante cose: la comunità è passata anche attraverso momenti difficili, processi e anche la detenzione in carcere per Vincenzo Muccioli. Acqua passata. Oggi, a 30 anni dall’inizio di quell’avventura e a 13 dalla scomparsa del suo fondatore, la comunità è diventata come una grande città, dove i tossicodipendenti non pagano per entrare e vivono lavorando nelle molteplici attività di Sanpa. La comunità è retta da Andrea Muccioli, uno dei due figli della coppia. Ma anche la signora Maria Antonietta, 74 anni, stesso mese e anno di nascita di Vincenzo (gennaio 1934) continua a seguire da vicino i suoi ragazzi. E nel trentennale di Sanpa è uscita dal suo consueto riserbo e ha concesso al nostro giornale questa intervista esclusiva.

 

 
dall’inviato MASSIMO PANDOLFI


SAN PATRIGNANO (Rimini), 27 luglio 2008 - LA MAMMA di Sanpa li conosce tutti i suoi figli. E i suoi figli sono tanti: oggi 1600, in trent’anni di comunità più di 20mila. Li conosce tutti, per nome e cognome.


E allora viene da chiedersi: ma come fa e perché lo fa, signora Maria Antonietta?
«Lo faccio perché è un segno di attenzione, rispetto e amore verso questi ragazzi. Quando arrivano qui loro pensano di essere dei numeri, la vita in genere li spinge a essere dei numeri; scoprire invece che c’è qualcuno che li riconosce per ciò che sono come persone è un fattore decisivo. Certo, non è facile ricordarseli tutti: mi aiuto con le loro schede».


Suo marito è scomparso 13 anni fa e ora sarà da qualche parte che vi osserva. Sarà soddisfatto di ciò che state facendo?
«Io Vincenzo continuo a sentirlo sempre molto vicino; pensare che ci può osservare mi rende felice. Noi ci sforziamo in ogni modo di mantenere San Patrignano come la voleva lui».


Ci state riuscendo? E come la voleva lui San Patrignano?

«Credo che ci stiamo riuscendo, sì. Lui voleva che San Patrignano fosse conosciuta nel mondo come una comunità piena di valori e che fa del bene. E’ stato un cammino lungo e lui che ha mosso i primi passi ha avuto il compito più difficile: ci ha anche rimesso la vita».


Ecco, signora: perché continua a dire che ci ha rimesso la vita?
«Perché mio marito lo hanno fatto morire. E’ stato perseguitato: nei 17 anni in cui ha gestito San Patrignano, per 15 l’hanno tenuto sotto processo. Gli ultimi tempi mi diceva: ‘Per salvare San Patrignano, dovrò morire io’».


La rabbia non le passa, signora Muccioli.

«Non è rabbia, non ho mai avuto rabbia: è solo dolore. Certa gente, accecata dall’ideologia, non ha mai voluto capire cosa fosse davvero San Patrignano, non è mai neanche venuta a vedere San Patrignano. Ci attaccava e basta».


Cos’era e cos’è San Patrignano?
«Intanto le dico chi era Vincenzo. Era la persona più innamorata della vita che io abbia mai conosciuto. Accoglieva tutto e tutti, con una genuina gratuità. Trasmetteva un’incredibile voglia di vivere. La cosa che più mi ha fatto star male è che negli ultimi tempi della sua vita questo entusiasmo glielo avevano spento. Era stanco. Non ha più avuto la voglia di reagire».


Torniamo alla domanda precedente: cos’era e cos’è San Patrignano?

«Una famiglia, dove trovi fiducia e guide. Una famiglia nel senso più bello e vero che si può dare alla parola famiglia».


E cioè?
«Glielo spiego con un esempio: un giorno ero al nostro centro clinico e assistevo un ragazzo che era uscito da un brutto periodo. Una signora mi disse: ‘Sarà soddisfatta di come è andata’. Io le risposi: ‘No, non è soddisfazione: è gioia’. Ecco, la gioia è il vero sentimento d’amore che si prova per le persone a cui sei legato; la soddisfazione non è mai piena, non ti coinvolge nel profondo. In famiglia si prova gioia, non soddisfazione».


A proposito di famiglia: è ipotizzabile un futuro di San Patrignano senza più la famiglia Muccioli?
«Senza più il cognome Muccioli magari sì. Ma senza l’idea e la concretezza di una famiglia no: San Patrignano diventerebbe un’altra cosa».


Ma quando è cominciato tutto, 30 anni fa, lei non ha cercato di dissuadere suo marito?
«No, ci tengo a precisare che abbiamo iniziato tutto, insieme. Di comune accordo. Anche se all’inizio chi ci stava vicino pensava che fossimo impazziti».


I momenti più difficili? Mai pensato di mollare tutto?
«Ci siamo sempre fatti coraggio a vicenda. Vincenzo passò un momento terribile nel 1980. Tornammo dal campeggio con 50 ragazzi e fu arrestato. Lo accusarono di incatenare i nostri ospiti. Passò 33 giorni d’inferno, si sentiva in colpa con me. Io gli scrissi una lettera in carcere e lui mi ha sempre detto che quella lettera lo ha aiutato moltissimo».


Cosa scrisse in quella lettera?

«Che ringraziavo Dio di averlo incontrato nella mia vita».


Lei signora ora cosa fa a San Patrignano?
«Continuo a fare la mamma, anzi diciamo che ormai faccio la nonna».


La responsabilità diretta della comunità ce l’ha suo figlio Andrea: l’altro suo figlio, Giacomo, proprio nei mesi scorsi ha cambiato lavoro e ha lasciato la comunità. Dispiaciuta?
«Un po’ sì, perché per una mamma i figli sono sempre come dei cuccioli, li vorresti sempre vicini. Giacomo ha fatto una scelta ma sa bene che le porte di casa, se e quando vorrà, sono sempre aperte».


Lei ha conosciuto 30 anni di generazioni di drogati: le fanno più paura quelli di oggi o quelli di una volta?
«Quelli di oggi. Una volta i drogati erano sporchi, emarginati, brutti da vedere; ma nella maggior parte dei casi si trattava di gente con sentimenti forti, con ideali. Volevano cambiare il mondo, non ci riuscivano e allora magari finivano nel baratro».


Oggi invece?
«Mi sembrano dei gusci vuoti. Spesso neanche si rendono conto di essere tossicodipendenti. E non hanno il senso del limite. Non ricevono mai dei no, non vengono educati, per loro tutto è lecito. Non hanno neanche consapevolezza. E se non hai consapevolezza dei tuoi limiti, è difficile cambiare».


Come se lo immagina oggi Vincenzo?
«Seduto in cielo su una nuvola, che alterna fragorose risate a solenni arrabbiature. Magari dicendo: ma guarda cosa fanno quei ‘patacconi’ laggiù…».


Da uno a cento, quanto le manca suo marito?
«Centouno».