{{IMG_SX}}Messina, 13 giugno 2008  - Ventinove arresti in due distinte operazioni antimafia a Messina e in provincia. Associazione mafiosa, detenzione di armi e stupefacenti, danneggiamenti ed estorsioni in danno di numerosi imprenditori edili e commercianti, sono le accuse nei confronti di una decina tra affiliati e favoreggiatori del clan mafioso di Messina capeggiato dal boss Giuseppe Mulè.

Nell'operazione "Pilastro" dei carabinieri della Compagnia Centro è stato arrestato anche un imprenditore accusato di aver agevolato la latitanza - durata tre mesi, nell'autunno scorso - proprio del boss ergastolano e malato di Aids Giuseppe Mulè, poi catturato in provincia di Salerno. L'imprenditore avrebbe anche imposto forniture ad aziende della zona. Conferenza stampa alle 10.30 al Comando provinciale dell'Arma per i particolari dell'inchiesta antimafia ed antiracket della Dda di Messina.
 

Nella seconda operazione, denominata "Rinascita" è stata accertata la ricostituzione del clan dei Bontempo Scavo a Tortorici, in provincia di Messina. Con quest'accusa il commissariato di Capo d'Orlando ha arrestato la scorsa notte tra i Nebrodi, Randazzo e Siracusa 19 persone (ad alcune il provvedimento cautelare è stato notificato in carcere), nell'ambito dell'operazione denominata "Rinascita". Una persona è sfuggita alla cattura.

Le accuse vanno dall'associazione mafiosa, alle estorsioni e al traffico di stupefacenti. Alle 11 nella Questura di Messina la conferenza stampa per illustrare i particolari dell'operazione antimafia della Dda di Messina.
 

Hanno favorito la latitanza del superboss di Messina Giuseppe Mulè attualmente in carcere. Fra questi un imprenditore, le cui forniture venivano imposte alle aziende, ma che alla fine è rimasto stritolato nella morsa delle richieste sempre più pressanti del clan. Dieci i provvedimenti cautelari dell'operazione "Pilastro" eseguiti dai carabinieri della Compagnia Centro e firmati dal Gip del Tribunale di Messina, Antonino Genovese, su richiesta del sostituto della Dda, Rosa Raffa.

Un anno di indagini che hanno consentito di acquisire elementi di prova contro il capomafia ergastolano Mulè che per un anno era riuscito a rimanere in libertà, per effetto del differimento pena concessogli perchè malato di Aids, e aveva ricostituito il proprio gruppo criminale tornando a imporre il pizzo a commercianti ed imprenditori.
Tra le persone finite in carcere nel blitz della scorsa notte anche l'imprenditore edile Antonio Giannetto le cui forniture di cemento venivano imposte agli operatori del settore avvalendosi della forza intimidatrice del clan Mulè con minacce e attentati. Giannetto è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e cioè di essere legato all'organizzazione criminale da un rapporto di 'mutuo scambio': in cambio dell'attività 'promozionalè condotta in suo favore dagli uomini di Mulè, versava una quota dei suoi guadagni.


Anche lui però, alla fine, è rimasto vittima del meccanismo del racket con richieste sempre più pressanti per aumentare la 'dazione' in favore del boss.
 

Le indagini dei carabinieri della Compagnia 'Centro' di Messina hanno inoltre permesso di fare piena luce sulle varie fasi della latitanza del boss, che - colpito da un provvedimento restrittivo di revoca del beneficio del differimento pena - si era dato latitante, rifugiandosi prima a Catania, ospite di Roberto Giuseppe Campisi, pregiudicato legato ai clan etnei, Mulè si era quindi trasferito in Campania, dove è stato arrestato i primi di dicembre in un appartamento di Scafati, in provincia di Salerno, insieme a Giuseppe Oliviero, Lucia Cefariello e Virginia Carotenuto, ritenuti contigui alla camorra.