COMO, 26 maggio 2008 - STANNO nascosti nei controsoffitti dei bagni, rannicchiati nelle intercapedini dei vagoni, si mischiano ai passeggeri sperando di passare inosservati, ma il loro viaggio quasi sempre finisce in frontiera, dove basta la rapida occhiata di un poliziotto per capire che più avanti di così non possono andare.

Sul Cisalpino Italia-Gemania viaggia di tutto: i clandestini e gli studenti, i turisti e i frontalieri, le amiche russe ventenni che vivono a Lugano e vanno a farsi la serata a Milano, ma anche le borse piene di droga lasciate su un portabagagli che qualcuno riprenderà all’arrivo, a Milano o Firenze, e che alimentano le decine di sequestri a carico di ignoti fatti ogni anno.

 

SONO oltre un migliaio le persone respinte ogni anno alla frontiera comasca, buona parte cerca di oltrepassare in treno quella linea invisibile ma presidiata giorno e notte, alternativa o prosecuzione naturale delle rotte migratorie via mare. Sul treno Cisalpino proveniente da Stoccarda delle 22.30, i controlli di polizia in ingresso in Italia iniziano mezz’ora prima, quando il convoglio parte da Lugano.

Otto agenti distribuiti lungo il treno, dotati di telefono cellulare che mantiene la linea anche in galleria, sempre in comunicazione con il terminalista alla stazione internazionale di Chiasso per controllare in venti minuti tutti gli estremi dei documenti stranieri, ma anche degli italiani che presentano qualche anomalia.

 

COME lo studente che aveva denunciato lo smarrimento della carta di identità, senza revocare la segnalazione quando l’ha ritrovata, facendo così nascere il sospetto che potesse avere con sé un documento rubato al quale aveva cambiato la fotografia.
Grazie alla patente di guida, che confermava la sua identità non è stato necessario farlo scendere dal treno per approfondire il controllo, come invece avviene per la donna nigeriana che viaggia con la sua bimba di cinque mesi.

 

"A MILANO per shopping" dice agli agenti che, all’occorrenza, parlano inglese o tedesco, ma sui suoi documenti regolari, c’è un timbro che le permette di soggiornare solo in Irlanda. Un paese comunitario ma escluso da una parte degli accordi di Schengen, per entrare in Italia occorre un visto del quale lei non si è preoccupata. Forse ci ha provato, forse non lo sapeva: gli agenti l’aiutano a prendere i bagagli per scendere dal treno a Chiasso, viene identificata e poi indirizzata verso un albergo in Svizzera, dove passerà la notte prima di tornare a casa.

 

SONO ormai le 23, quasi contemporaneamente la polizia svizzera consegna due stranieri che cercavano di percorrere il tragitto inverso, su un treno in uscita dall’Italia. Il primo è un palestinese di 33 anni, parla solo arabo o tedesco, ha con sé un provvedimento di espulsione emesso due giorni prima dalla Questura di Roma.

Dice che un connazionale gli ha rubato i documenti ma non ha la denuncia, e che sta andando in Germania da sua moglie, una tedesca di cui fornisce nome e numero di telefono. Le verifiche durano mezz’ora, in piena notte. Prima ai terminali, dove il suo nome viene inserito più volte, invertito con il cognome per capire se esistono provvedimenti a suo carico. Poi controllando quegli estremi di residenza che risultano inesistenti.

 

GLI VIENE spiegato che deve lasciare l’Italia ma che dalla Svizzera non può transitare, ma intanto passerà la notte nell’ufficio della polizia di frontiera, in attesa di essere portato in Questura a Como la mattina successiva. Lui e l’altro clandestino consegnato dagli svizzeri, un albanese di 28 anni trovato nascosto nel controsoffitto del bagno degli handicappati. Rannicchiato e con i muscoli rattrappiti da ore di posizione innaturale, chiuso lì dentro da qualcun altro prima che il treno entrasse in stazione, in attesa di essere liberato una volta a destinazione.

 

"APRIAMO e ci crollano addosso — dice un poliziotto — non si reggono più sulle gambe. Senza contare il pericolo: dentro i pannelli possono esserci anche i cavi elettrici. Anni fa gli africani si attaccavano anche sotto i vagoni, li trovavamo ovunque, ma per fortuna non è mai successo nulla di grave". Scene che si ripetono ogni giorno: stazionano negli uffici per qualche ora, prima della verifica sulle loro impronte digitali che decide se devono semplicemente andarsene dall’Italia perché privi di provvedimenti a loro carico, o se li attende il carcere.