PALERMO, 15 aprile 2008 - EX COMANDANTE dei servizi segreti, ex comandante del Ros, ex comandante della Scuola ufficiali dei carabinieri. Ieri rinviato a giudizio per favoreggiamento di Cosa nostra; più esattamente, e ancor peggio, sarà processato con l’accusa di aver impedito l’arresto di Bernardo Provenzano nel 1995 (il boss sarà poi catturato undici anni dopo, l’11 aprile 2006).

E’ l’incredibile vicenda che vede nei guai il prefetto Mario Mori, e con lui il colonnello Mario Obinu, all’indomani della richiesta del gup di Palermo, Mario Conte. L’ultimo atto di una vicenda emersa nel 2001 in seguito alle dichiarazioni di un altro carabiniere ancora, il colonnello Michele Riccio; in un’aula del tribunale di Genova, il militare rivelò che nel ’95, quando era di stanza in Sicilia, ricevette le confidenze di un mafioso che dava per certa la presenza di Provenzano a un summit a Mezzojuoso, nel Palermitano.

 

Secondo Riccio (che in quell’aula di tribunale c’era come imputato di traffico di droga per un’indagine legata a spacciatori internazionali) sia Mori sia Obinu glissarono dicendo che non avevano i mezzi tecnici per operare un blitz nel casolare dei mafiosi. Così tutta l’operazione coinvolse soltanto otto carabinieri che scattarono qualche fotografia a Mezzjuoso.

 

Secondo il gup, tra l’altro, nemmeno dopo i due ufficiali sotto accusa presero provvedimenti, nonostante il pentito (Luigi Ilardo, poi regolarmente ucciso a pallettoni) avesse detto che in quel vecchio casolare di summit e di incontri Provenzano e soci ne tenessero assai spesso; nonostante fosse appurato che il boss dei boss viveva in quella zona; nonostante il solito pentito avesse indicato due picciotti come il tramite tra Provenzano e gli altri boss di Cosa nostra.



ACCUSE PESANTISSIME, che ieri, uscendo dal palazzo di giustizia, il prefetto Mori non ha voluto commentare; se n’è andato subito, salutato dai militari in servizio di sicurezza. Per lui, però, hanno parlato i suoi legali, gli avvocati Piero Milio ed Enzo Musco. Secondo loro, le parole di Riccio nascono unicamente dal suo desiderio di vendetta contro i commilitoni che non lo avrebbero «coperto» nella sua sgradevole vicenda legata al narcotraffico. L’uomo, poi, è stato definito dai due avvocati come «un soggetto riconosciuto mentitore da diverse autorità giudiziarie del Paese».

Ma a detta del pm le parole del colonnello sarebbero state confermate dalle successive indagini svolte da altri militari. Il processo comincerà a Palermo il 18 giugno.