{{IMG_SX}}MILANO, 17 febbraio 2008 - "E’ STATO un compagno di giochi e di marachelle, un amico, un fratello, un fidanzato e dal 21 marzo, primo giorno di primavera, sarà mio marito. Sì, sposo Vallanzasca, il bel René dallo sguardo ammaliante, lo sciupafemmine, come scrivevano i giornali, anche se non ci ho mai creduto perché l’esistenza di Renato è scivolata via un’ora dopo l’altra sui ritmi sempre uguali della prigione. Lo sapevamo entrambi che sarebbe finita così, è un sogno che viene da lontano, e quando lui mi ha chiesto di sposarlo non è stata una sorpresa, ma piuttosto una conferma. Perché il 21? Quella data annuncia l’arrivo della stagione dei fiori, del primo tepore, segna l’inizio di un nuovo ciclo di vita della natura. E anche noi, con quel sì, cominceremo a vivere".

 

PRESTO SPOSI. Antonella D’Agostino, parrucchiera, e Renato Vallanzasca, ergastolano a più mandate, si conoscono dai tempi dell’infanzia e si uniscono in matrimonio adesso, all’alba dei sessant’anni e lontano dalle sbarre. "Speriamo che il giudice conceda a Renato qualche ora di libertà o, meglio ancora, alcuni giorni, perché noi vorremmo che le nozze si svolgessero con vista su un panorama pulito e senza catene, liberi di guardare avanti. La cerimonia è in programma in Comune, davanti a Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura".


Sara’ un sì a due voci per concludere una storia avviata in giorni lontani, proseguita tra le pagine di mille processi, con gli scritti, con il pensiero e con i saltuari colloqui. "Ci siamo conosciuti da bambini, a 7 o 8 anni. Sua madre lo aveva affidato a una zia e io andavo nella stessa zona del Giambellino da una parente parrucchiera, a imparare il mestiere".

 

GIOCHI, chiacchiere, progetti e qualche tempo dopo, qualche marachella. "In tre o quattro portavamo via le scatole di latte che i fattorini lasciavano davanti ai portoni, per darle a persone più povere. Poi, il primo errore di Renato, la detenzione al ‘Beccaria’, le letterine, le promesse e le ricadute in un crescendo di reati. Io, prima femmina dopo cinque maschi, lavoravo in via Montenapoleone, lui metteva a segno imprese strampalate e finiva sempre più spesso in carcere. Un giorno sparì per un lungo periodo e allora chiesi informazioni alla zia. ‘Ha liberato gli animali di un circo ed è in prigione’, disse. Da allora le manette hanno separato i nostri percorsi, ma le nostre menti sono rimaste sempre unite, prima come amici, poi come fratelli".

 

DUE VITE a distanza. Antonella si è sposata con il figlio della titolare del negozio, ha avuto due figli, ha sciolto il matrimonio. Renato, sull’altro fronte, srotolava l’esistenza tra assalti, spari, catture, evasioni, storie rosa, processi ed ergastoli ogni volta rinnovati. Ma, anche con un sì quasi a sorpresa. Nel ’79, infatti, sposò Giuliana Brusa e accanto a lui, come testimone oltre le sbarre, c’era il suo grande amico Francis Turatello. Foto, sorrisi a due facce, promesse di eterna felicità, e qualche tempo dopo, le prime incomprensioni, la crisi e il divorzio.



MA VALLANZASCA non rimase solo. "Ad aspettarlo c’ero sempre io", racconta Antonella D’Agostino. Amici di vecchia data, compagni di miniscorribande al Giambellino progetti a più voci nelle sere lungo le strade, eppoi... «Il momento decisivo si verificò ai tempi del suo primo ergastolo, quando una disgrazia mi stravolse la vita. Ero distrutta, svuotata, sfinita, un’ombra spenta e senza speranza. Lui mi scrisse, mi diede conforto, mi fece ragionare. Avrei dovuto aiutarlo io, e invece dal carcere mi giungevano parole piene di buoni sentimenti. Quelle lettere sono state un contatto, un abbraccio, un motivo per tirare avanti: il nuovo scopo di un’esistenza che pareva al limite. Le aspettavo con ansia e rispondevo subito. E tra le pagine di quelle sofferenze, dieci anni fa, è entrato, cauto, un nuovo sentimento. Ce ne siamo accorti entrambi, ma il pudore ci ha impedito di fare altri passi. Poi, un giorno, a un colloquio... beh, sì, me lo ha detto, anche se lo sapevo già".

 

COSÌ ANTONELLA D’Agostino gira indietro un lungo sguardo affacciato sul domani. E sono cronache di tempi lontanissimi, scanditi da condanne ogni volta ribadite e di speranze ogni volta rimandate. "Per noi, nonostante tutto, è una bella storia, lunga e tormentata. Nel mio libro Lettera a Renato c’è tutta, giorno dopo giorno: dall’infanzia all’adolescenza, alla maturità, agli errori. E i sentimenti, le pene e le speranze. E soprattutto ci sono le lettere che ci siamo scambiati durante i suoi 40 anni di carcere, gli articoli dei giornali, il mio diario e una breve raccolta di altri scritti: messaggi di fanciulle balorde, di ex agenti di custodia, intellettuali, disperati e professoresse innamorate. Gli scrivono in tanti, con toni diversi. Proprio a lui, inguaribile rubacuori, come dicevano i giornali. Ma come ha fatto a sciuparle se in quarant’anni è stato lontano dalla cella solo per brevissimi periodi? No, non ci ho mai creduto, per me è più importante il resto, e cioè il nostro futuro".



PRIMA DELLA classica richiesta: ‘vuoi sposarmi?’, Renato Vallanzasca ha contattato con una lettera il figlio di Antonella. "Gli ha chiesto il permesso al matrimonio con poche righe garbate e discreta, direi timidamente. Ecco, gli ha detto nella sostanza, io e tua madre ci conosciamo dai giorni dell’infanzia, ho commesso degli errori, tantissimi, e da tanti anni pago per quello che ho fatto. Adesso vorrei coronare un sogno pulito: tu che ne pensi? E lui gli ha risposto: ‘Sei stato gentilissimo a darmi questa notizia, sono d’accordo, auguri a tutti e due’. Solo allora Renato si è rivolto a me. In carcere, durante un colloquio, ha sorriso e ha chiesto:‘dai, ci sposiamo?’ Succederà il 21 marzo. Renato, intanto, mi ha fatto il primo regalo. E’ una bella dedica: Antonella, ha detto, voglio uscire per dimostrare di essere finalmente un uomo vero, con la fede al dito e senza la pistola in mano".