{{IMG_SX}}Palermo, 18 agosto 2007 - C'era Bernardo Provenzano dietro un residence a San Vito Lo Capo, una delle spiagge più frequentate dal turismo in provincia di Trapani. Emerge da indagini del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, che ha sequestrato la società  «Residence Capo San Vito srl» del valore di oltre 1 milione di euro, in esecuzione di un decreto della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.

 Il boss corleonese, arrestato l'11 aprile dell'anno scorso dopo 43 anni di latitanza, avrebbe gestito quest'attività tramite un prestanome, Santo Schimmenti, in passato condannato per mafia.
Il provvedimento giudiziario colpisce l'intero capitale sociale, il complesso aziendale e i beni della società , che ha avuto sede prima in Palermo, in via De Gasperi 53, e successivamente a Misilmeri, centro poco distante dalla città, in viale Europa 40. Si tratta di 3 appartamenti e un locale scantinato, nel condominio Conturrana a San Vito lo Capo.

 

Il residence, secondo gli investigatori, era riconducibile a Provenzano anche se era formalmente di proprietà di Santo Schimmenti, di Misilmeri, condannato in appello a sei anni e quattro mesi per associazione mafiosa, con uno sconto di pena sui 9 anni che aveva subito in primo grado. Schimmenti, secondo quanto ha ricostruito la Guardia di finanza, aveva rilevato la società da Pino Lipari, il geometra ritenuto braccio finanziario del capomafia corleonese, poco prima dell'arresto di quest'ultimo.


Un passaggio di proprietà che sarebbe stato attuato per mettere al riparo da iniziative giudiziarie questa parte dei beni del capo di Cosa Nostra. Secondo i finanzieri, da Provenzano sarebbe venuto un apporto di capitali illeciti per dar vita alla società e per la costruzione degli appartamenti.


Pino Lipari, durante i colloqui in carcere con i familiari, intercettati dagli investigatori, aveva più volte manifestato la sua preoccupazione per un eventuale sequestro della società «Residence Capo San Vito». Durante uno degli incontri con i figli, Lipari aveva loro affidato «pizzini» -poi sequestrati- per informare Provenzano e chiedergli di consentire alla vendita di tutti gli appartamenti della società.

 

 L'indagine ha, tra l'altro, confermato interessi in comune tra Provenzano Totò Riina e il cognato di quest'ultimo, Leoluca Bagarella, e il ruolo svolto da diversi imprenditori nel reimpiego degli enormi profitti accumulati dal boss in oltre 40 anni di latitanza.
L'udienza per la discussione del sequestro eseguito oggi dalla Guardia di finanza si terrà nel prossimo dicembre.