{{IMG_SX}}Città del Vaticano, 28 giugno 2007 -  L'annunciato 'Motu proprio' con il quale Benedetto XVI liberalizzerà il messale pre-conciliare (che prevede l'esclusivo uso della lingua latina e la celebrazione spalle all'assemblea da parte del sacerdote) verrà pubblicato "entro alcuni giorni".

Lo rende noto un comunicato della sala stampa vaticana, aggiungendo che ieri pomeriggio in Vaticano si è svolta una riunione presieduta dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, "in cui è stato illustrato ai rappresentanti di diverse conferenze episcopali il contenuto e lo spirito" del provvedimento papale.


"Il Santo Padre - aggiunge il comunicato - si è recato a salutare i presenti e si è intrattenuto con loro in un'approfondita conversazione per circa un'ora".

"La pubblicazione del documento - che sarà accompagnata da un'ampia lettera personale del Santo Padre ai singoli vescovi - è prevista entro alcuni giorni", afferma il comunicato della sala stampa vaticana, "quando il documento stesso sarà stato inviato a tutti i vescovi con la indicazione della sua successiva entrata in vigore".


Il messale detto pre-conciliare è quello promulgato da Giovanni XXIII nel 1962. L'iniziativa di Benedetto XVI è tesa ad andare incontro a gruppi tradizionalisti come gli 'scismatici', seguaci del defunto arcivescovo francese Marcel Lefebvre.

BERTONE: GRANDE RICCHEZZA

 "La forma liturgica pre-conciliare" è "una grande ricchezza" e "c'è una bella lettera personale del Papa a tutti i vescovi del mondo che spiega il perchè rivalutare e riprendere" in mano questa forma liturgica. Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano, spiega in questo senso le ragioni della pubblicazione del Motu Proprio sulla messa in latino, che sarà reso noto nei prossimi giorni.


"Ieri pomeriggio c'è stata una riunione sul Motu Proprio - ha detto Bertone a margine della celebrazione della 'Festa del Papa' - che delinea alcune condizioni per celebrare la messa secondo il messale di Giovanni XXIII del 1962. Il Papa - ha proseguito il porporato - ha spiegato le sue motivazioni e il Motu Proprio verrà pubblicato nei prossimi giorni mentre entrerà in vigore più avanti per far sì che venga meglio acquisito".

 

CHI LA CELEBRA GIA' ORA

La messa in latino secondo il rito di San Pio V, aggiornato da Giovanni XXII nel 1962, viene già celebrata in alcune diocesi con il permesso del vescovo locale, in base all'indulto «Ecclesia Dei» pubblicato da Giovanni Paolo II nel 1988 per favorire il rientro dello scisma di mons.
Marcel Lefebvre.

Con il «motu proprio» annunciato ufficialmente oggi e che è ormai di imminente pubblicazione, Benedetto XVI intende estendere tale possibilità a tutte le realtà locali dove gruppi di fedeli chiedano di celebrare in latino.


Bisognerà però aspettare il testo (attualmente in stampa) per capire quali modalità siano state fissate dal Pontefice, se cioè le celebrazioni in latino dovranno essere comunque autorizzate dai vescovi locali (e questo aprirebbe molti contenziosi) o gestite a livello nazionale (analogamente a quanto avviene per i riti orientali).


Questo è l'aspetto più problematico e la soluzione adottata il Papa ha voluto spiegarla personalmente ieri alla riunione convocata dal card. Tarcisio Bertone per presentare il nuovo documento, alla quale, ha precisato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, hanno partecipato una quindicina tra cardinali e vescovi di diversi Paesi.

Per l'Italia c'erano il vicario di Roma Camillo Ruini e l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei Angelo Bagnasco (a Genova, tra l'altro, ci sono gruppi consditenti di tradizionalisti).

Per la Francia il card. Philippe Barbarin di Lione e il presidente dei vescovi Jean Pierre Ricard. Dagli Stati Uniti l'arcivescovo di Boston Patrick ÒMalley, dalla Gran Bretagna il primate ingele Murphy ÒConnor, dalla Germania il presidente dei vescovi Karl Lehman e dalla Svizzera mons. Kurt Koch, vescovo di Basilea e presidente dell'episcopato.

In realtà già l'«indulto» del 1988 avrebbe dovuto consentire un ampio uso del vecchio rito, tanto che nel «motu proprio» istitutivo della Commissione Ecclesia Dei Papa Wojtyla aveva scritto che «dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962».

Nella pratica però le cose sono andate diversamente e tranne che nelle comunità direttamente sottoposte alla Commissione Ecclesia Dei, quelle cioè degli ex lefebvriani, la più consistente delle quali è a Campos in Brasile, sono stati i vescovi locali a decidere se concedere o meno la messa in latino e in molti casi non l'hanno autorizzata.

L'ex presidente della Ecclesia Dei, card. Augustin Mayer, se ne era lagnato in più occasioni, sottolineando che «insistere sul fatto che solo le aspirazioni di coloro che hanno delle difficoltà ad abituarsi alla messa promulgata da Paolo VI siano considerate come legittime, e denigrare gli altri come quelli che sviluppano una teologia povera, un interesse personale, una nostalgia superficiale o qualsivoglia aberrazione, sembra proprio ben lontano dalle benevole disposizioni e dalla considerazione pastorale del nostro Santo Padre».

«Certo - aveva spiegato Mayer in una lettera agli ex lefebvriani dell'Australia - nessuno ha il diritto di acquisire un privilegio, ma allorchè il privilegio è effettivamente accordato si ha il diritto di beneficiarne».

Nel 1991 lo stesso Mayer aveva anche scritto una lettera alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti per sollecitare la concessione del «celebrat» ai sacerdoti che ne avevano fatto richiesta, suggerendo di individuare nelle diocesi i preti a riposo più legati alla liturgia tradizionale, per affidare loro questa incombenza. D'altra parte, sottolineava il cardinale benedettino, «sarebbe dannoso e contrario allo spirito del sovrano Pontefice proporre questa forma di culto come intrinsecamente superiore a quella codificata col Messale promulgato da Paolo VI, o permettere ad un generoso proposito pastorale di diventare occasione di polemica o di divisione in seno al Corpo di Cristo».