Istat, gli effetti del Coronavirus. Più disuguaglianze, meno speranze

Rapporto annuale: l'epidemia si è abbattuta sulle persone più fragili. I figli restano un desiderio, ma nel clima d'incertezza le culle si svuoteranno

Coronavirus, gli effetti dell'epidemia in Italia secondo l'Istat (Ansa)

Coronavirus, gli effetti dell'epidemia in Italia secondo l'Istat (Ansa)

Roma, 3 luglio 2020 - Non che sorprenda più di tanto, ma l'ultima indagine dell'Istat sugli effetti dell'epidemia di Coronavirus in Italia scatta una fotografia desolante: gli effetti del Covid si sono abbattuti sulle persone più fragili, "acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese", riassume l'istituto di statistica nel suo Rapporto annuale.  Una prova ne sono "i differenziali sociali riscontrabili nell'eccesso di mortalità causato dal Covid-19", con i meno istruiti maggiormente colpiti. Sul mercato del lavoro hanno risentito dell'emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, impattato dalle conseguenze del Coronavirus. La chiusura della scuole, poi, può aver prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini(non tutti dotati di computer o connessione in casa). Ancora: il 12% delle imprese pensa di ridurre l'occupazione. Ad aprile 3,5 milioni in Cig mentre 7,9 milioni degli occupati non ha lavorato.

Lavoro, da febbraio oltre mezzo milione di occupati in meno

Il bollettino del 3 luglio

La scala sociale

La "classe" di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all'età di 30 anni, ma pesa ancora in misura rilevante. Per l'ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa.  In questa mobilità verso il basso il 26,6% dei figli rischia un 'downgrading' rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima. 

Gli orari antisociali

"Tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali: serali, notturni, nel fine settimana, turni. Con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del lavoro e la conciliazione con la vita privata", sottolinea l'Istat. "Più di due milioni e mezzo di occupati, di cui 767mila donne, dichiarano di lavorare di notte; quasi cinque milioni, di cui 2 milioni donne, prestano servizio la domenica; e oltre 3,8 milioni, 1 milione e 600mila donne, sono soggetti a turni".

Disuguaglianze e coesione

Il Covid rischia di accentuare le disuguaglianze sociali, allargando i divari esistenti, con una 'scala sociale' nella quale è più facile scendere che salire. Il mercato del lavoro si restringe - il 12% delle imprese pensa di tagliare - proprio per le fasce più deboli, giovani e donne. La didattica a distanza vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. La natalità potrebbe scendere ancora, eppure gli italiani i figli li desiderano, due l'ideale. Ma l'Istat sottolinea anche come il Paese abbia reagito. "Il segno distintivo" nel lockdown è stato di "forte coesione". L'Istituto invita a guardare alla criticità strutturali del Paese come "leve della ripresa". 

Focus sulla sanità

L'offerta di posti letto ospedalieri in Italia "si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti". Il confronto? "Nell'Ue28 mediamente l'offerta di posti letto è di 5,0 ogni 1.000 abitanti, in Germania sale a 8". Quindi in Italia abbiamo meno della metà dei posti letto rispetto ai tedeschi. Stesso discorso vale se si fa il confronto sul personale infermieristico: 58 per 10mila residenti contro 129.  Ma i nostri ospedali hanno retto all'impatto: "I primi dati disponibili segnalano che l'impatto dell'emergenza sull'assistenza ospedaliera c'è stato, ma limitato - spiega l'Istat - Sono diminuiti i ricoveri per le malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari ma è rimasta invariata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato di queste patologie una volta ospedalizzate". In particolare "l'offerta di interventi non differibili in ambito oncologico e ortopedico sembra non abbia subito contraccolpi".

Rischio culle (più) vuote

"La rapida caduta della natalità potrebbe subire un'ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid", prevede poi l'Istat. "Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell'immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell'ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021". E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello choc sull'occupazione.  I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021".   Ma la voglia di mettere su famiglia resta forte. L'Istat nota un "diffuso" e "ancora elevato" desiderio di maternità e paternità. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli per il 46% delle persone, mentre il 21,9% ne indica tre o più. Sono "solo" 500 mila quanti tra i 18 e i 49 anni affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita.

Didattica a distanza

"L'Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell'Unione europea, anche con riferimento alle classi di età più giovani". Quanto all'impatto del Covid, si sottolinea che "il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario".