Giovedì 18 Aprile 2024

Trattativa Stato-mafia, autogol della giustizia

Da un certo punto di vista con la sentenza di Palermo abbiamo avuto una buona notizia: i carabinieri erano in qualche modo "infiltrati" all’interno di Cosa nostra nell’epoca post stragi. Una attività che portavano avanti contemporaneamente alle operazioni investigative. Per la Corte d’Assise di Palermo invece la rete di rapporti con boss e gregari mafiosi tessuta dal generale Mario Mori e dai suoi uomini si è tradotta in un reato. Per la cronaca il generale è stato assolto già quattro volte con sentenze che, per aspetti simili (indagine su Bernardo Provenzano), smentiscono trattative con i boss tali da agevolarli. I giudici fingono di non sapere che nella lotta alla mafia come al terrorismo, chi agisce dalla parte della legalità deve farlo anche sporcandosi le mani. Lo Stato, invece, con i pentiti tratta alla luce del sole: tu vuoti il sacco e denunci i complici e io ti sconto la pena. Affare fatto.

Stessa cosa succede ogni giorno dentro il ventre delle città, da Milano, a Bologna, a Roma anche per "banali" indagini di droga. Il pusher scuce una notizia per incastrare il pesce grosso e chi indaga una volta sì e una no chiude gli occhi. Senza informatori con cui "dialogare" non si cava un ragno dal buco. Da anni certi pm danno la caccia al generale Mori in una realtà ribaltata, come se il boss fosse lui. La storia offre una certezza. Cosa nostra negli ultimi due decenni ha visto precipitare le proprie azioni nella Borsa della criminalità organizzata. Grazie ad arresti, sequestri e qualche inevitabile trattativa. E lo Stato in cambio condanna i carabinieri del Ros. Nel calcio è un autogol.