Totti, dalla bandiera al cucchiaio. Così entra nella leggenda del calcio

Ieri l'ultima gara del Capitano che si commuove

Francesco Totti (Afp)

Francesco Totti (Afp)

Roma, 29 maggio 2017 - La bandiera, il cucchiaio e il numero 10. In questi simboli c’è la storia di Francesco Totti che ieri ha celebrato il suo addio al calcio in una partita tutta cuore, lacrime e sentimento. Una spirale di emozioni con il sapore forte della vita: un saliscendi di gioie e paure, culminata con la qualificazione in Champions League per l’amata Roma. Si consuma così, con una gara vera e non con una stucchevole passerella, l’addio al calcio di uno dei più grandi calciatori italiani. I numeri raccontano 889 partite e 334 gol, un titolo mondiale, uno storico scudetto con la Roma nel 2001.

Ma l’unicità di Totti rimanda a quei tre benedetti simboli: il cucchiaio, la bandiera e il numero 10. Quel numero non comparirà più su una maglia giallorossa, perché deve raccontare venticinque anni di fedeltà a una bandiera, chiusi con l’abbraccio commosso sul prato dell’Olimpico alla moglie Ilary e ai suoi tre figli. E nel cucchiaio c’è il sottile segreto che ha fatto di Totti, benzinaio mancato, un giocatore eterno, uno dei campionissimi da consegnare alla leggenda del calcio. Il quel gesto irridente e tecnicamente perfetto, in quello scavetto sotto il pallone che supera la sagoma del portiere proteso in tuffo, c’è l’essenza di Totti artista del calcio e uomo di grande spessore. Il cucchiaio più celebre della sua carriera se lo concesse agli Europei del 2000, nella sfida con l’Olanda che ci spalancò la strada della finale. Poi ci fu il riscatto ai mondiali 2006. Totti veniva da cinque mesi di stop e dal più grave infortunio della sua vita. Quello fu il modo di comunicare al mondo che era rinato.

GOLEADOR straordinario (unico italiano con Toni a vincere la Scarpa d’oro), il re di Roma ha saputo interpretare soprattutto il ruolo di bandiera, di uomo simbolo, ha portato sulle spalle le speranze e le delusioni della Roma giallorossa e i suo sogni di gloria. Lo ha fatto con un calcio modernissimo e ispirato, fatto di giocate al volo e di intuizioni geniali. Ecco perché non solo Roma ma l’Italia intera si commuove per l’addio di questo Peter Pan del calcio che a 40 anni ha ancora l’entusiasmo di un bambino, la sana voglia di stupire. Gli hanno promesso un futuro da dirigente nella squadra del cuore. Auguriamoci che anche lì diventi un numero dieci.